LA DATA

10 luglio 1976

Il volto bendato dalle garze, da cui spuntano gli occhi semichiusi di una bambina. Lei è la piccola Michela Sanno, l’immagine simbolo della tragedia di Seveso il più grave disastro ambientale mai accaduto in Italia, il dodicesimo nel mondo.

Alle 12.30 del 10 luglio 1976, dallo stabilimento dell’Icmesa, una fabbrica di componenti per diserbanti della multinazionale svizzera Givaudan, situata a Meda, un comune della Brianza, si sprigionò una nube tossica di diossina TCDD che si diffuse in una vasta area limitrofa, in particolare nel comune di Seveso. Il disastro ebbe una tale risonanza pubblica, che portò all’emissione della direttiva europea 82/501/CEE, nota come Direttiva Seveso, che impone agli stati membri di dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. In Italia è stata recepita solo sei anni dopo, con il DPR 175/1988.

Fu l’avaria del sistema di controllo di un reattore chimico per la produzione del triclorofenolo a provocare la fuoriuscita di una nube della più pericolosa tra le diossine, che colpì i comuni di Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno. Purtroppo non fu subito chiaro cosa stesse succedendo, le persone che vivevano nell’area colpita dalla nube avvertivano «bruciore agli occhi e uno strano odore acre nell’aria», avrebbero detto i testimoni. L’azienda non dette nessun allarme, né fu avviata l’evacuazione della popolazione a rischio. La notizia uscì sulla cronaca locale del quotidiano Il Giorno solo il 17 luglio, a distanza di una settimana dell’evento, mentre l’azienda attese due giorni prima di scrivere all’autorità sanitaria e rendere noto l’accaduto, il 12 luglio. Un’eternità. Un ritardo colpevole che rese impossibile mettere in sicurezza in tempo persone, animali, abitazioni.

Il comune di Seveso fu suddiviso in zone, vennero demolite le case in quella più contaminata, furono evacuate 700 persone. Tuttavia, i giorni passati senza porre rimedio a quanto era accaduto resero impossibile limitare il danno. La gente poté rientrare nelle proprie abitazioni solo un anno e mezzo dopo, mentre 41 famiglie rimasero senza casa perché le proprie erano state demolite, in circa 250 furono colpiti da una grave dermatosi provocata dall’esposizione al cloro, detta cloracne. Tra di loro moltissimi bambini. Intanto, vegetali e piante nella zona maggiormente colpita dalla nube cominciarono a seccare rapidamente, così come gli animali contaminati cominciavano a morire o dovevano essere abbattuti.

Le conseguenze dell’esposizione alla temibile diossina TCDD sulla salute sono tutt’oggi oggetto di studio, a distanza di quarant’anni. Numerose ricerche effettuate negli anni ’90 sulla popolazione femminile hanno dimostrato la correlazione tra alcune frequenti patologie e l’esposizione alla diossina TCDD. Studi effettuati successivamente hanno evidenziato il legame tra alcune gravi alterazioni ormonali neonatali e il contatto delle madri con la sostanza tossica, soprattutto nella zona maggiormente contaminata.

Il processo aperto dalla Procura di Monza, accompagnato da una causa civile intentata dalla Regione Lombardia contro l’Icmesa, riconobbe colpevole l’azienda che, nel 1980, fu condannata a risarcire 103 miliardi e 634 milioni, comprensivi anche delle spese di bonifica e di sostegno ai programmi di prevenzione dei rischi. Altri 200 miliardi di lire furono pagati per risarcire i privati. Da allora sono seguite altre tre cause nei confronti della Givaudan, per i danni morali e biologici, e 30 anni di azioni giudiziarie tra ricorsi, appelli e richieste di prescrizione.

Oggi a ricordare quel dramma c’è il parco naturale Bosco delle querce, realizzato proprio nell’area più inquinata, dove il terreno fu completamente asportato e sostituito con quello proveniente da zone non contaminate.