LA DATA

11 agosto 1944

All’alba dell’11 agosto 1944 furono due campane a dare il segnale d’insurrezione alla città di Firenze: quella di Palazzo Vecchio e quella del Bargello. Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale non solo coordina l’attacco delle forze partigiane, ma assume anche il comando della città, costituendo una giunta comunale e nominando i vertici delle istituzioni cittadine in quello stesso giorno.

Son passati pochi giorni dalla distruzione dei ponti di Firenze, nella notte fra il 3 e il 4 agosto, e di tutte le strade adiacenti al Ponte vecchio, l’unico risparmiato dalle mine tedesche. La città è allo stremo delle forze, mancano i viveri, l’acqua, l’elettricità; sui tetti e dalle finestre stanno appostati i cecchini della Repubblica sociale, l’ultimo regalo dell’ex federale della città Alessandro Pavolini. Scrive Piero Calamandrei: «Costui, nel suo operoso soggiorno a Firenze, rubò cinque milioni alla Prefettura per distribuirli tra le bande dei suoi manigoldi coll’ordine di rimanere in città come “franchi tiratori” e fare strage alla spicciolata, dai tetti e dalle finestre, di donne e di bambini. E poi, tutto avendo disposto per il meglio, se ne tornò al Nord, dove il governo della repubblica aveva bisogno di lui» (qui l’articolo completo) .

Era dal settembre del 1943 che Firenze era occupata dai nazifascisti, in un crescendo di vessazioni, delazione e violenza grazie alle efficienti milizie della Repubblica Sociale: tra il 1943 e il 1944 furono deportati nei campi di sterminio tedeschi 311 ebrei (tornarono in 15), e circa 1.000 deportati politici fra partigiani, renitenti alla leva e operai che avevano aderito allo sciopero generale dell’8 marzo 1944. Il 22 marzo 1944, per dare l’esempio, vennero fucilati allo stadio cinque giovanissimi renitenti alla leva, con tanto di parata militare; nel pomeriggio del 17 luglio le milizie repubblichine a bordo di un autocarro aprirono il fuoco senza motivo in piazza Tasso, ammazzando altre cinque persone; la Banda Carità, a Villa Triste, continuava a torturare e uccidere.

Lo sgomento e la rabbia della popolazione crescevano sempre di più, e non lasciavano dubbi sul da farsi, al momento opportuno: saranno moltissimi i civili a partecipare alla battaglia, scendendo in strada anche a mani nude. Per un inquadramento storico esauriente e la cronaca della battaglia, è da leggere il bell’articolo di Matteo Mazzoni, direttore dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea; anche il portale  Toscananovecento ha pubblicato approfondimenti e testimonianze su questo argomento.

Su «La Nazione del Popolo» pubblicato a un anno dalla battaglia di Firenze, Carlo Levi scrive:

«Firenze aveva dovuto inventare la guerra partigiana, la guerra di città, i Comitati di Liberazione come organi di governo. Erano scoperte nate come con il carattere delle cose necessarie, perché non derivavano da un piano di pochi illuminati, ma dalla volontà comune di un popolo che si faceva libero e che questa giovane libertà pagata col sangue voleva esprimersi realizzando, per la prima volta, l’autogoverno. I particolari episodi di valore, di ferocia, di dolore, di fermezza o di sconforto avevano un senso e, all’occhio dello storico, una importanza indiscutibile. Firenze mostrava la strada della guerra popolare italiana, della rivoluzione popolare italiana. […] La battaglia di Firenze fu la prima battaglia cittadina; il governo del CTLN fu il primo autogoverno popolare italiano. L’aver agito, nella lotta armata e nella amministrazione, con il senso sempre presente di un compito nazionale da attuarsi attraverso a tutte le particolari manifestazioni di libertà, è il valore storico della liberazione di Firenze».  (Carlo Levi, Firenze libera, da La Nazione del Popolo, 11 agosto 1945)

 

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