Per molti anni, due guardie a turno sono rimaste lì, in piazza San Venceslao ai piedi della scalinata del Museo nazionale, per cercare di scoraggiare chi si avvicinava, per togliere i fiori che i più coraggiosi deponevano sul selciato, per tentare invano di cancellare perfino il ricordo. Oggi Jan Palach avrebbe compiuto 70 anni (Praga 11 agosto 1948); ne aveva appena 21 quando, il 16 gennaio 1969, nel centro di Praga, si cosparse di benzina e lucidamente accese un accendino per immolarsi. Morì dopo tre giorni di atroci sofferenze durante le quali, lucidissimo, ribadì le ragioni del suo gesto. Che peraltro aveva già annunciato nei suoi diari, messi al sicuro a una decina di metri di distanza dal fuoco.
Jan era uno studente di filosofia all’università Carlo IV di Praga e fin dai primi momenti aveva aderito alle iniziative riformiste di Alexander Dubcek e del suo socialismo dal volto umano. Un sogno che durò solo un primavera e svanì nella triste notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 quando i carri armati sovietici entrano nella capitale cecoslovacca. Dubcek, subito destituito, lanciò pressanti inviti a non reagire ma venne solo parzialmente ascoltato. Vero è che in pochi mesi si contarono non meno di 200 morti tra invasori e dimostranti.
«Ho avuto l’onore – scrisse Palach – di estrarre il numero uno e quindi è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana». Il riferimento era a un gruppo di volontari contrari all’occupazione e «pronti a bruciarsi per l’abolizione della censura e la proibizione di “Zpravy”, il giornale delle forze sovietiche a Praga».
Non è mai stato accertato se effettivamente il gruppo di Palach sia esistito. Di sicuro ebbe un effetto limitato l’ultimatum che il giovane lanciò: «Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà».
Ci sono testimonianze di altri sette ragazzi che si immolarono col fuoco senza che i loro gesti ottenessero però l’effetto e la visibilità di quello di Jan; la forza dei carri armati comunque spianò la strada della normalizzazione in un popolo stanco e rassegnato.
Il gesto eroico di Palach rimase solo nei cuori ma non occupò le pagine dei libri di storia fino al 1989 quando, sotto la presidenza di Václav Havel, a Jan venne intitolata una piazza del centro di Praga precedentemente dedicata all’Armata rossa. Un anno dopo lo stesso Havel fece erigere un monumento in piazza San Venceslao a ricordo del sacrificio dello studente universitario.
In tutto il mondo esistono oggi circoli e associazioni intitolati a Palach, «morto per la libertà».