IL NUMERO

115.000

Sono 115.000 le donne costrette a lasciare il lavoro nell’impossibilità di conciliare la propria vita professionale con la cura di un figlio. Il dato, fornito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, si riferisce alle annate comprese tra il 2011 ed il 2016 e mostra un trend drammatico: dal 2011, le neomamme che si sono dimesse sono aumentate del 55%.

Nell’ultimo anno del governo Berlusconi avevano lasciato il lavoro 17.681 neomamme; nell’ultimo anno di quello di Renzi sono state 27.443.

Si tratta di numeri che mettono a nudo l’inefficienza delle politiche per la famiglia adottate negli ultimi anni e mostrano l’unica scelta possibile per le lavoratrici madri, che non hanno né una rete familiare di supporto, né le risorse economiche per iscrivere i propri figli agli asili nido, in maggioranza gestiti da privati e piuttosto cari. Esistono realtà lavorative che adottano contratti flessibili e prevedono asili aziendali, ma sono isole felici; per contro, moltissimi sono i contratti-capestro che diffidano le donne a rimanere incinte, previo licenziamento.

Il dato è preoccupante a livello sociale, dato l’aumento di sindromi depressive che interessano gran parte delle lavoratrici costrette a scegliere tra l’avere un figlio e svolgere un’attività, e per la sfera economica, in quanto il nostro paese viene privato della produttività, delle competenze e della ricchezza creativa del lavoro delle donne.

 

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