LA DATA

13 giugno 1966

«Ha il diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirà potrà essere usato e sarà usato contro di lei in Tribunale». Questa frase è ormai entrata nell’immaginario collettivo grazie ai film polizieschi d’oltreoceano, in cui il poliziotto arresta il criminale di turno e lo informa sui suoi diritti.

Questa formula, nota come il Miranda warning, deve necessariamente essere utilizzata dai poliziotti al momento del fermo di un sospettato per metterlo al corrente di quali sono i diritti su cui può sempre contare. È il 13 giugno del 1966 quando la Corte Suprema degli Stati Uniti si esprime sul caso Miranda v. Arizona, una causa intercorsa tra lo stato dell’Arizona e il detenuto Ernesto Arturo Miranda, venticinquenne americano di origini messicane, che era stato arrestato e poi condannato a tre anni di detenzione per il rapimento e lo stupro di una giovane adolescente.

Nella realtà, ben lontana dalle ricostruzioni hollywoodiane, le forze dell’ordine sono tenute a recitare le celebri frasi solo nel caso in cui l’arrestato debba poi essere sottoposto a interrogatorio, e non a tutti coloro che vengono arrestati come si tende a credere. Al giorno d’oggi, i poliziotti non sono tenuti a leggere il Miranda warning nel caso in cui si sia in presenza di una situazione di emergenza per la sicurezza pubblica.

La decisione presa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti rappresenta un’importante conquista, nell’ambito delle battaglie per i diritti civili degli anni Sessanta. La decisione è una fondamentale salvaguardia soprattutto delle persone meno istruite o con problemi mentali, come nel caso di Ernesto Miranda, che potrebbero subire soprusi o non vedersi riconosciuti i fondamentali diritti della persona.