LA DATA

13 maggio 1978

«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente. Ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione, anche senza la costrizione».
Con queste parole, Franco Basaglia, psichiatra e neurologo, ma soprattutto ispiratore della riforma della disciplina psichiatrica italiana, commentava l’approvazione della legge che porta il suo nome, la 180 del 13 maggio 1978.

La legge Basaglia è ad oggi la prima e unica legge quadro in Italia che ha affrontato la questione dei manicomi, li ha chiusi, ha regolamentato il trattamento sanitario obbligatorio, ha istituito i servizi pubblici di salute mentale. Grazie a questa legge, l’Italia è il primo paese al mondo ad aver abolito gli ospedali psichiatrici e ad aver tentato di dare una risposta, anche sociale oltre che clinica, ai “malati di mente”.

Ispirandosi alle idee dello psichiatra statunitense Thomas Szasz, infatti, Basaglia propose il superamento della logica del manicomio, avviando una rivoluzione copernicana nel modo di affrontare la malattia mentale: i disturbi psichiatrici non devono essere curati concentrandosi solo sugli aspetti “organici” della malattia, ma anche sull’origine della malattia stessa. Il “matto” è un malato come gli altri e come tutti gli altri ha diritto di essere curato nel rispetto della dignità della persona.

I manicomi e gli ospedali psichiatrici, invece, sono tristemente famosi per come gli “internati” venivano trattati. Testimonianze, inchieste, documentazione iconografica, che a loro volta hanno ispirato libri, film, pieces teatrali, rimandano a storie di orrore e di sofferenza, di emarginazione e di maltrattamenti, di vessazioni, di pratiche cliniche violente, di angherie di ogni tipo cui venivano sottoposti i pazienti, spesso rinchiusi senza una diagnosi certa e, a volte, senza nemmeno la certezza che esistesse una malattia della mente.

«Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non come i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita!», scriveva Alda Merini, che di manicomi, suo malgrado, ne sapeva parecchio.

Negli anni che precedettero l’approvazione della legge, le immagini dei loro volti stravolti, le stanze in cui erano rinchiusi, le cinghie con cui venivano assicurati ai letti, riproposte sui giornali, per lo più di sinistra, avevano aperto un varco nelle coscienze degli italiani e una gran parte del Paese si era mobilitato per chiudere questi “nuovi lager”, come venivano definiti. E anche allora, accanto a medici, psichiatri, politici e intellettuali, in prima linea contro questo orrore c’era il Partito Radicale con i suoi banchetti a raccogliere le firme per un referendum che abrogasse alcuni articoli della legge 36/1904 “Disposizioni sui manicomi e gli alienati”. Anche tanta gente comune aveva fatto la fila perché agli “alienati” venisse data una chance di cura e di guarigione.

Non fu necessario fare il referendum, perché nel frattempo venne approvata la Legge Basaglia, che, peraltro, a dicembre dello stesso anno confluì nella legge 833/78, istitutiva del sistema sanitario nazionale.

La discussione sui successivi esiti di questa legge è ancora molto attuale e, pur avendo dato un contributo essenziale a scuotere le coscienze, a quasi 40 anni di distanza, il disagio mentale resta ancora uno “stigma”.

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