Sono le 21.20 quando risuona il boato della prima esplosione. E poi sono le 21.25 quando si sentono i colpi della prima sparatoria. E poi ancora le 21.30, le 21.32, le 21.36. Dalle 21.40 alle 21.48 si diffonde il panico per i colpi sferrati brutalmente durante un concerto. E altre esplosioni, alle 21.43 e alle 21.45.
È il 13 novembre del 2015, quando la Francia, nella sua capitale, viene piegata da un attentato di matrice islamica. La mente torna subito al gennaio del 2015, pochi mesi prima, quando era stata attaccata la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e il supermercato kosher Hyper Cacher, sempre a Parigi.
Di nuovo Parigi, di nuovo la Francia. Gli attentati del 13 novembre hanno una portata impressionante: in quella che è stata definita la più cruenta aggressione in territorio francese dalla seconda guerra mondiale perdono la vita 130 persone. Non muoiono “solo” 130 persone: insieme a loro, in quella tiepida sera parigina, muore la sicurezza, muore la gioia di andare a vedere una partita allo stadio, muore l’entusiasmo di un concerto dal vivo. Insieme a quelle 130 persone muore l’allegria delle serate passate all’aperto, nelle splendide strade di Parigi. Poi, però, per uno strano scherzo del destino, sono le tragedie a unire le persone, a risvegliare quella coscienza di appartenenza nazionale (e transnazionale): e allora le strade si ripopolano e le persone gridano insieme, a gran voce, che il terrorismo spaventa e colpisce, è inutile negarlo, ma non basterà a fermare la vita di chi vuole ancora godere dei momenti passati insieme agli altri.
La sera del 13 novembre, storica sala concerti parigina, la musica si è fermata perché gli spari suonavano più forte. Le note degli Eagles of Death Metal sono costrette a lasciare spazio alle raffiche dei terroristi. E le persone sono fuggite, quelle che sono riuscite a farlo, impaurite, forse chiedendosi se fosse ancora possibile andare a un concerto, stare in mezzo alla folla senza doversi guardare alle spalle per paura di un attentato. Sì, è ancora possibile: la musica è tornata a suonare, i cantanti sono tornati sul palco e le persone sono tornate a ballare sulle note delle canzoni. «Restiamo umani», diceva Vittorio Arrigoni, attivista, giornalista e scrittore ucciso a Gaza nel 2011, e aggiungeva: «Anche quando intorno a noi l’umanità pare si perda».