LA DATA

14 marzo 1911

Avete presente la strillettera di Harry Potter, un hobby caro ad Hannibal Lecter nel film Il silenzio degli innocenti (a parte sbranare gli umani), o la celeberrima borsa Pliage della maison Longchamp, modello usato e copiato in tutto il mondo? Hanno in comune l’utilizzo di una tecnica antica e nobile, quella dell’origami, l’arte di piegare la carta (dal giapponese oru, “piegare” e kami, “carta”). Ebbene, se non ci avesse pensato Akira Yoshizawa, nato il 14 marzo del 1911 a Kaminokawa, una cittadina giapponese della prefettura di Tochigi e morto ad Itabashi, un quartiere di Tokyo, sempre il 14 marzo di 94 anni dopo, in Occidente se ne sarebbe sentito parlare di meno e Josef Albers, padre della teoria moderna dei colori e della corrente minimalista, non avrebbe potuto utilizzare i principi dell’origami nell’ambito del suo progetto pedagogico.

L’origine degli origami giapponesi ha un significato sacrale, strettamente legato alla religione shintoista: la parola “carta” e la parola “dei” si pronunciano entrambe kami, e i postulati del ciclo vitale e dell’accettazione della morte come parte di un tutto si collegano alla forma di carta nelle sue complessità e fragilità. L’origami è il simbolo del tempio shintoista, che viene distrutto e ricostruito ogni vent’anni. Alla morte del supporto, la forma viene ricreata e rinasce, in un eterno ciclo mantenuto dal rispetto delle tradizioni.

Yoshizawa, entrato a lavorare a tredici anni in una fabbrica di Tokyo, riesce a divenire disegnatore tecnico e ha l’idea – da principio – di usare l’arte tradizionale dell’origami per spiegare problemi di geometria. Gli piace talmente occuparsene che, nel 1937, decide di dedicarsi completamente a questa pratica: inventare nuove forme, nuovi modi per realizzarle, trasformando l’origami da lavoro manuale ad una forma moderna d’arte. Complessivamente, nel corso della sua lunga vita, Akira Yoshizawa creerà più di cinquantamila modelli, di cui solamente poche centinaia sono stati diagrammati nei diciotto libri pubblicati sul suo lavoro. È un autentico pioniere di diverse tecniche di piegatura, come il “wet-folding”, che consiste nell’inumidire la carta durante e dopo il procedimento di piega, consentendo di ottenere forme molto arrotondate, dall’aspetto scultoreo. Diviene famoso in patria a tal punto che, nel 1983, l’imperatore Hirohito gli assegna il titolo dell’Ordine del Sol Levante. In Italia, il primo articolo su Akira Yoshizawa, intitolato “Magia dell’Origami”, viene pubblicato su Selezione dal Reader’s Digest nel dicembre 1970. Nel novembre 1983, in occasione del concorso Origami per Pinocchio, l’artista visita per la prima volta il Bel Paese, grazie al Centro Diffusione Origami (C.D.O.), fondato da Roberto Morassi e Giovanni Maltagliati. Sempre Yoshizawa definisce un sistema di notazione moderno delle pieghe origami, chiamato “sistema Yoshizawa-Randlett”, divenuto poi punto di riferimento per gran parte degli origamisti creativi.

È così che la simbologia e il linguaggio profondo della carta piegata conquista il mondo occidentale, sia pur perdendo un poco quell’aura sacrale che ne contraddistingue le origini: origami a forma di gru, simbolo di purezza; la tradizione della “bambola fluttuante” per la cosiddetta Festa delle bambine; la rana, che trova la propria specificità nel doppio significato del termine kaeru, che vuol dire sia appunto “rana” che “ritorno a casa” (una formula d’augurio per coloro che stanno per intraprendere un lungo viaggio). Poi, con la penetrazione della filosofia buddista nel Paese del Sol Levante, anche il fiore di loto diviene un modello di origami. Soprattutto la gru, tuttavia, una delle forme tradizionali più antiche, assume – dal Novecento – un valore del tutto particolare, legato alla leggenda secondo la quale chiunque riesca a piegare mille gru di carta, potrà esaudire i propri desideri. Nel parco della Pace di Hiroshima è stata eretta una statua, una ragazza in piedi con le mani aperte ed una gru che spicca il volo dalla punta delle sue dita. È dedicata a Sadako Sasaki, una bambina esposta alle radiazioni della bomba atomica che quelle mille gru non fece in tempo a piegarle.

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