LA DATA

14 settembre 320 d.C.

Tramandate dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, le vicende della Vera croce e del suo miracoloso ritrovamento da parte di Elena, madre dell’imperatore Costantino, avvenuto secondo la tradizione il 14 settembre del 320 d.C., hanno ispirato il maestoso ciclo di affreschi iniziato da Bicci di Lorenzo nella basilica di San Francesco ad Arezzo e portato a termine da Piero della Francesca fra il 1452 ed il 1466.

Originato da un ramoscello posto in bocca ad Adamo morente dall’Arcangelo Gabriele, quindi divenuto una trave che, inutilizzabile per la costruzione del Tempio di Gerusalemme (risultava sempre o troppo lunga o troppo corta, segno inequivocabile che la volontà divina la collocava altrove) viene gettata sul fiume a mo’ di passerella, il prezioso legno viene riconosciuto dalla Regina di Saba che predice il suo futuro utilizzo sul Golgota mentre si reca fastosamente in visita a Salomone: quest’ultimo, messo a parte dell’infausta profezia, la fa sotterrare ma, in seguito alla condanna di Cristo, viene dissepolta, utilizzata come previsto, quindi di nuovo celata sottoterra insieme con le altre due croci del Calvario.

Passano quasi tre secoli e Costantino (qui la leggenda si confonde abilmente con la storia ai fini di legittimare la politica dell’imperatore e l’Editto di tolleranza), alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio contro il rivale Massenzio avvenuta nel 312, riceve in sogno il celebre suggerimento “In hoc signo vinces” e, dopo la vittoria, invia la madre Elena a Gerusalemme in cerca del santo legno; strana fascinazione dei regnanti per il sacro: anche di Hitler si sa che collezionava oggetti sacri, fra cui la lancia di Longino, certo di poterne ricavare un potere arcano e la folle supremazia cui aspirava. Come che sia, l’amabile imperatrice cristiana non esita, per indurre a parlare un ebreo che conosceva il punto di sepoltura della Vera Croce, a far calare il poveretto in un pozzo, senza pane né acqua, per sette giorni. Con tali poco sottili ma assai convincenti mezzi, Elena poté rinvenire le tre diverse croci utilizzate il giorno della morte di Cristo, quindi si apprestò ad un altro trucchetto per identificare quella sulla quale era morto il Salvatore: sfiorò un cadavere con i frammenti di cui era entrata in possesso e, quando questi risuscitò, ebbe la prova di avere per le mani il legno che andava cercando, quindi lo divise in vari pezzi lasciandone una parte a Gerusalemme e portando gli altri con sé.

Qui non si seguiranno le successive, complicate vicende di queste schegge impazzite generatesi dal tronco principale della leggenda, molto cara ai Francescani della Basilica aretina di cui sopra, basterà invece ricordare alcune delle scene rappresentate nell’arte perfetta e potentissima di Piero, a sua volta ispiratosi al ciclo già dipinto da Agnolo Gaddi in Santa Croce, a Firenze (altra roccaforte francescana): l’elegante corteo che scorta la regina di Saba in visita a Salomone, la compassata animazione che accompagna il riconoscimento del legno, la potente battaglia di Ponte Milvio (dove picche a cavalli ricordano Paolo Uccello e la sua battaglia di San Romano, del 1438) e, in ultimo, la luce visionaria, drammatica, pre-caravaggesca del sogno di Costantino.

Tags