LA DATA

15 agosto 1939

«Un giorno esprimerò un desiderio su una stella cadente
mi sveglierò quando le nuvole saranno lontane dietro di me
dove i problemi si fondono come gocce di limone»

(Somewhere over the Rainbow)

Cinque mesi di riprese e cinque registi: possiamo leggerne uno solo nei titoli di coda, ma tutti hanno portato qualcosa alla realizzazione di uno dei film più famosi del secolo scorso. Stiamo parlando del Mago di Oz, il film uscito in California il 15 agosto 1939, tratto dal libro Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum, un signore di fine Ottocento che detestava i nativi americani.

Il film inizia e finisce in bianco e nero virato in color seppia su idea di uno dei suoi registi, King Vidor, mentre la parte ambientata nel paese di Oz è in technicolor: la Metro Goldwin Meyer quell’anno utilizzò il colore anche per un altro suo film famosissimo, Via col vento, diretto dallo stesso regista che ha firmato Il mago di Oz, Victor Fleming.

La storia è quella di una ragazzina, Dorothy, che abita con gli zii e l’amatissimo cagnolino Toto, un cane un po’ irrequieto preso di mira da un’acida vecchietta del paese. Si comincia così: una fattoria del Kansas in cui tutti hanno troppo da fare per dar retta a Dorothy, che sogna una vita diversa tenendo fra le braccia un piccolo cane nero che è a sua volta un attore, con tanto di stipendio di 125 dollari alla settimana, prende più Toto che gli attori che impersonano i Munchkin della Terra blu, quella dove Dorothy atterra volando via dal Kansas assieme alla sua casa, a cavallo di un tornado. È in Kansas che Dorothy canta Over the Rainbow, che i discografici statunitensi hanno eletto “miglior canzone del XX secolo”, e che assomiglia moltissimo all’intermezzo dell’opera Guglielmo Ratcliff di Pietro Mascagni, composto nel 1895.

Che anche un piccolo cane nero bruttino possa essere un grande protagonista della scena lo dimostra Toto nella scena in cui Dorothy canta Over the Rainbow:

«Toto, ho l’impressione che non siamo più nel Kansas», dice la piccola Dorothy svegliandosi in un mondo colorato, con casette piccole e una strada dorata; siamo usciti dal bianco e nero virato in color seppia, la sua casa atterrando ha accoppato la crudele strega dell’Est, che teneva prigionieri i Munchkin della Terra blu; giunge a ringraziarla personalmente Glinda, la strega buona del Nord, ma arriva anche la perfida strega dell’Ovest, che vuole le scarpe rosse luccicanti ai piedi della sua defunta sorella, la strega dell’Est: le scarpette, dispettose, scompaiono e riappaiono ai piedi di Dorothy.

La terribile strega dell’Ovest è al quarto posto nella classifica dei cattivi di Hollywood con la sua faccia verde, un colore a base di ossido di rame che in mezzo agli scoppi degli effetti speciali ha procurato al volto dell’attice Margaret Hamilton ustioni di secondo e terzo grado. Prima di volare via arrabbiatissima, la strega dell’Ovest promette a Dorothy che si vendicherà su di lei e il suo piccolo Toto, ma Glinda trova la soluzione: il mago di Oz suggerirà a Dorothy la strada di casa.

Prima di tutto, dunque, trovare il mago di Oz. Lungo la via Dorothy e Toto incontrano tre compagni di viaggio, che li accompagneranno per farsi dare dal mago di Oz la soluzione al loro problema: lo spaventapasseri vuole chiedere il cervello che non ha, l’uomo di latta vuole chiedere il cuore che gli manca, e il Leone vuole chiedere il coraggio, perché ha paura anche della sua ombra.

Chiede Dorothy allo spaventapasseri: «E come fai a parlare se non hai il cervello? e lui risponde: «Ah non ne ho idea… ma c’è un mucchio di gente senza cervello che chiacchiera sempre»; proprio così…

La strega dell’Ovest si scioglierà con l’acqua che Dorothy tirerà sullo spaventapasseri, per spegnere le fiamme che la strega ha appiccato per divertirsi: cattiva come ogni piromane che si rispetti, ma inadatta all’acqua. La sua scopa sarà il trofeo da consegnare al mago di Oz, in cambio dei suoi favori. Il mago, però, non è un mago, ma un comune essere umano arrivato tanto tempo prima su una mongolfiera, anche lui perduto, che per darsi un contegno si è finto chi non è. Agli amici di Dorothy regalerà surrogati delle loro richieste: un attestato al posto del cervello per lo spaventapasseri, una medaglia al posto del coraggio per il leone, un orologio al posto del cuore per l’uomo di latta e tutti sono contenti, beati loro. Che, come si sa anche nei film americani, chi s’accontenta gode.

A far tornare Dorothy a casa non sarà la mongolfiera del mago di Oz ma il potere delle scarpette rosse ai suoi piedi, basterà batterle in terra tre volte per ottenere ciò che vuole, a riprova del fatto che battere i piedi ogni tanto serve a qualcosa.

Produrre Il Mago di Oz costò 2.777.000 dollari, ma già entro il 1939 ne incassò 3.017.000, in meno di quattro mesi il film era ripagato.

Le curiosità attorno a questo film sono moltissime, per esempio che il valore di mercato delle famose scarpette rosse è stimato in circa 1.500.000 dollari, che ha ricevuto il premio Oscar nel 1940, che nel 2007 l’UNESCO l’ha inserito nell’Elenco delle Memorie del mondo, e molte altre.

La canzone Over the Rainbow, scritta da Harold Arlen e E.Y. Harburg e cantata nel film dalla protagonista, Judy Garland, è stata reinterpretata da moltissimi artisti, da Ella Fitzgerald a Mariah Carey, Frank Sinatra, Chet Baker, Eric Clapton. A traghettarla nel ventunesimo secolo però è stata l’interpretazione dell’artista hawaiano Israel Kamakawiwo’ole, un uomo gigantesco con un minuscolo ukulele: