LA DATA

15 marzo 1985

Sembra ieri, ed è cambiato il mondo: era il 15 marzo 1985, quando la società Symbolics, un’azienda statunitense che produceva software per computer – ora non più in attività, anche se la sigla è stata ceduta nel 2009 per una cifra a tutt’oggi sconosciuta – registrò il primo dominio “.com” della storia. Una data fondamentale. Occorrerà attendere l’anno successivo, il 1986, per vedere nella lista dei domini registrati aziende del peso di Ibm e At&T. Apple seguì nel 1987 e Microsoft nel 1991, lo stesso anno in cui nacque il World Wide Web, grazie ad un’intuizione di Tim Berners Lee, ricercatore del Cern di Ginevra. In quel giorno d’agosto, l’informatico inglese pubblicò il primo sito web. Ci vollero diciassette giorni perché la pagina venisse visitata, ma la sfida era ormai concreta. Il W.W.W. (letteralmente “rete di grandezza mondiale”) è ancor oggi uno dei principali servizi di Internet, quello che permette di navigare e di usufruire di un insieme molto vasto di contenuti (multimediali e non), collegati tra loro attraverso link (“legami”). Il computer utilizzato da Berners Lee per realizzare il primo server web è oggi esposto nel Globo della Scienza e dell’Innovazione del Cern. In bella mostra, un foglietto reca la scritta: «Questo PC è un server, non spegnere».

Quando nacque Symbolics.com, l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) non c’era ancora: l’organismo che regola i domini è stato creato solo nel 1998, a sostituirne un altro, lo IANA. Prima ancora, agli albori di Internet, a controllare il traffico c’era solo Jon Postel, ricercatore barbuto di ARPANET, la rete di computer costituita  dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Da allora i domini .com sono diventati quasi 120 milioni in tutto il mondo. Ogni server, da quella macchina  ingombrante in poi, è identificato da un codice numerico; inoltre, quando un sito Internet viene archiviato all’interno di un server, viene contraddistinto a sua volta da un numero, chiamato indirizzo IP. I domini sono stati creati come sistema per rendere più facile l’accesso: si tratta di nomi che sostituiscono proprio i numeri dell’indirizzo IP. Attraverso il DNS (Domain Name System), si effettua una vera e propria traduzione da domini (cioè il nome di uno spazio Internet ben preciso) a IP, e viceversa.

Da quel 15 marzo 1985, in cui venne registrato Symbolics.com, i domini detti generici di primo livello (.com, .it, .org) indicano per lo più organizzazioni e aziende. Alcuni possono essere usati liberamente, altri (.gov, .edu) sono riservati per determinati enti. Nel corso degli anni, ai domini di primo se ne sono affiancati altri, di secondo livello (come .legal e .money), grazie ad un’apertura dell’ICANN. Ora si può scegliere il nome della propria azienda, il proprio nome e cognome o una parola di fantasia; si possono utilizzare tutte le lettere dell’alfabeto inglese e i numeri da 0 a 9: il dominio Internet di secondo livello può avere una lunghezza fino a 63 caratteri. Per non parlare del dominio web di terzo livello, o sottodominio: precede il dominio di secondo, da cui separato con un punto. Un esempio, usatissimo, blog.

Nello sbizzarrirsi delle sigle, resta un problema di buon gusto. Molte testate hanno lanciato un’indagine  sui domini dai nomi più imbarazzanti, e la scelta è molto ampia. And esempio: oddsextractor.com (sarebbe da leggersi come “Odds Extractor”, “Estrattore di possibilità”, ma l’associazione con “Odd Sex Tractor”, “bizzarro trattore sessuale” è altrettanto valida). Oppure penisland.net: la ditta commercializza penne in legno, nome completo “Pen Island”, ma l’effetto comico di “Penis land” è ormai parte del suo successo, anche in senso di condivisioni social. Oltre alle allusioni sessuali (quanto involontarie non è dato sapere), c’è anche partnerstalking.com: può significare sia “Partners Talking” (partners che parlano”, letteralmente), oppure il più preoccupante “Partner Stalking”. A questo, Berners Lee &Company proprio non avevano pensato.