LA DATA

17 giugno 1970

Il 17 giugno del 1970 si è disputata la partita del secolo, ovvero l’incontro di semifinale del mondiale messicano tra Italia e Germania, vinto dagli azzurri con un epico 4 a 3.

Era un calcio ancora in bianco e nero, naïf, specchio fedele del paese di quell’epoca; era il tempo della staffetta Mazzola-Rivera, delle cannonate da fuori area di Boninsegna, dell’immenso Rombo-di-Tuono, al secolo Gigi Riva, dell’eleganza di Giacinto Facchetti, delle mani leggendarie di Albertosi, della possanza gladiatoria di Tarcisio Burgnich. I supplementari erano una rarità, per cui, quando Schnellinger la mise dentro, due minuti e mezzo dopo il novantesimo, il nostro Nando Martellini non riuscì a nascondere il suo disappunto. Sì, perché l’Italia era andata in vantaggio con un potente tiro, manco a dirlo, alla distanza, di Roberto Boninsegna, e, successivamente, si era chiusa in difesa, mettendo il risultato al riparo dei panzer tedeschi fino alla fine del secondo tempo. Ma, come diceva il grande Bruno Pesaola, “la palla è rotonda”, tutto può accadere, e, complice il dio del calcio, il quale aveva stabilito, con largo anticipo, che quella non sarebbe stata una partita come le altre e con lo zampino dell’arbitro Yamasaki, si continuò a giocare, a 2.200 metri di altitudine, con quaranta gradi di temperatura e un tasso di umidità capace di stendere un toro in corsa.

I cavalieri che fecero l’impresa ebbero a disposizione 21 minuti di tempi supplementari, nei quali ci furono cinque gol e un infortunato, che stoicamente continuò a restare in campo: era Franz Beckenbauer, con la spalla lussata ed un’ammirevole dedizione alla sua squadra. Assistemmo ad un goal ogni 4 minuti, una media inusuale per il calcio di allora. Il vantaggio tedesco fu realizzato da Müller; il nostro pareggio fu grazie ad un colpo di testa di Burgnich; poi il 3 a 2 di Riva, con una fucilata dal limite dell’area; la doppietta di Müller, a causa di un’imperdonabile leggerezza di Rivera in fase difensiva. Ma, alla fine, lo stesso Rivera si riscattò, intervenendo su di un traversone di Boninsegna, che fu il sigillo del 4 a 3 finale. «Se non avesse segnato, l’avremmo rinchiuso in un armadio dell’Azteca», così ha raccontato Gigi Riva del suo compagno Gianni Rivera, detto Golden Boy dagli estimatori e Abatino dalla penna graffiante di Gianni Brera, il quale, immune dalla retorica nostrana, stigmatizzò poi quella partita, definendone “scadente” il gioco, da altri esaltato, ma, ammettendo di aver rischiato l’infarto, per il surplus di emozioni vissute.

Era notte fonda, ormai, in Italia, quando battemmo i tedeschi nello stadio Azteca, e ben pochi riuscirono a dormire. In tanti si riversarono nelle strade, mettendo in scena caroselli d’auto, strombazzate di clacson e sbandieramenti, divenuti poi di rito, ad ogni gara vinta dalla nazionale nei mondiali successivi. Non ci furono altre esplosioni d’italica gioia dopo quella «meravigliosa partita», come la definì Martellini.

La coppa Rimet, così si chiamava allora, fu vinta da Pelè e compagni. E così, mentre la Seleçao brasiliana se ne tornò in patria con tutti gli onori, i ragazzi di Valcareggi furono accolti al loro arrivo in Italia assai ingloriosamente, tra fischi e qualche lancio di pomodori. I messicani, invece, colpiti dall’epopea del 17 giugno, apposero una targa laddove era stata giocata quella gara straordinaria, la partita del secolo, quella che entrerà a far parte dell’immaginario collettivo, del cinema, delle narrazioni tramandate e sempre arricchite da nuovi particolari, quella che viene sempre nominata insieme al suo storico risultato: Italia-Germania 4 a 3.