Il 18 dicembre 1922 a Torino si scatena la furia omicida delle squadre d’azione fasciste capeggiate da Piero Brandimarte. La sera del 17 un operaio e militante comunista, Francesco Prato, subisce un agguato da parte di un gruppo di tre fascisti, che lo gambizzano. Prato reagisce e uccide due degli squadristi, mentre il terzo scappa. La reazione non si fece attendere: gli uomini di Brandimarte misero a ferro e fuoco la città cercando l’operaio dappertutto, ma senza riuscire a trovarlo. Vennero date alle fiamme l’edificio della Camera del Lavoro, il circolo anarchico dei ferrovieri, il Circolo Carlo Marx e la sede de L’Ordine Nuovo fu devastata. In un crescendo di violenza cominciò una mattanza che durerà tre giorni, nell’assoluta indifferenza delle autorità; la Prefettura aveva infatti deciso di non intervenire, lasciando mano libera agli squadristi.
Pietro Brandimarte scrisse, dopo la strage: «I nostri morti non si piangono, si vendicano. (…) Noi possediamo l’elenco di oltre 3.000 nomi di sovversivi. Tra questi ne abbiamo scelti 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori squadre, perché facessero giustizia. E giustizia è stata fatta. (…) (I cadaveri mancanti) saranno restituiti dal Po, seppure li restituirà, oppure si troveranno nei fossi, nei burroni o nelle macchie delle colline circostanti Torino». Dresda e Bazzani, i due squadristi uccisi da Prato, furono celebrati come martiri dal regime e nel 1933 gli fu fatto un monumento, poi abbattuto nel dopoguerra.
Sul numero di morti non c’è molta concordia nelle fonti: ufficialmente undici, ma qualcuno riporta quattordici. Magari furono davvero ventidue, come dichiarò in seguito Brandimarte, che nonostante tutte le sue dichiarazioni e la partecipazione diretta alle azioni fu assolto per “insufficienza di prove” nel 1952, tanto per ricordarci che da qualche parte i fascisti dovevano pure essere rimasti, e lo si è visto bene per molto tempo.
«È l’ultimo delitto, la conclusione di una “strage calcolata”. I fascisti hanno voluto colpire gli avversari politici, eliminarli fisicamente; hanno voluto intimorire, terrorizzare quanti non hanno ancora l’abitudine di tacere. Il gioco riesce. Ma riesce, in primo luogo, perché l’apparato dello Stato non si oppose a questo disegno; perché il fascismo sta diventando, ogni giorno di più, padrone dello Stato.» (Walter Tobagi, Gli anni del manganello, pag. 20).
Cinquanta camicie nere pronte a tutto ammazzarono a freddo per tre giorni, con una scusa occasionale buona a dare una lezione a una città operaia e a far fuori gli avversari politici, peraltro in una vera e propria orgia di sangue. Una serie di esecuzioni particolarmente efferate di cui si leggono i dettagli sia su Wikipedia, sia in un articolo di Andrea Fermi su virgoletteblog. Su Piero Brandimarte, morto impunito nel suo letto a 78 anni, è assolutamente da leggere l’articolo di Massimo Novelli su Repubblica.
Sulla lapide commemorativa in piazza XVIII Dicembre si legge:
Ai martiri dell’eterna libertà.
Strage di Torino 18 dicembre 1922
Andreone Erminio – operaio
Becchio Evasio – operaio
Berruti Carlo – impiegato FF.SS.
Chiolero Matteo – tramviere
Ferrero Pietro – operaio
Ghiomo Andrea – manovale
Massaro Giovanni – manovale
Mazzola Leone – esercente
Pochettino Cesare – esercente
Quintagliè Angelo – usciere FF.SS.
Tarizzo Matteo – meccanico