DAILY LA DATA

18 maggio 1980

Il 18 maggio del 1980 Ian Curtis, cantante e poeta dei Joy Division, si ammazzò nella sua casa di Macclesfield, a una ventina di chilometri da Manchester: posti operai con tipiche case inglesi dai mattoncini rossi, negli anni caldi – o forse freddi – del punk. Era arrivato a un bivio, il giovane Ian: non ancora 24 anni e già in procinto di divorziare dalla sua piccola moglie, Deborah, conosciuta sui banchi di scuola e sposata nel 1975, perché si è innamorato di un’altra ragazza, Annek, una giornalista belga conosciuta durante un tour. Le cose assurde e normali a un tempo, a vent’anni come a cinquanta, che cupido non scherza e non conosce.

Ian non vorrebbe lasciare Deborah, ma nemmeno rinunciare ad Annek. Il giorno successivo la band deve partire alla volta dell’America, un vero tour, una grande occasione. Sensi di colpa, paura del successo, l’epilessia di cui soffre da un paio d’anni, la depressione che dicono si fosse portata con sé: qualcosa che si rompe silenziosa, in fondo all’anima, assieme all’ossessione della morte, che rende giovani per sempre, e dell’amore, che ci farà a pezzi.

«Love, Love will tear us apart ….»

La sera prima di morire Ian guarda un film di Herzog, La ballata di Stroszek, che racconta i sogni dilaniati di un uomo che decide di chiamarsene fuori con la corda, come fa l’appeso dei tarocchi: pone lo sguardo altrove.

Prima di salire sul tavolo di cucina e lasciarsi andare stacca dalla parete la foto della sua bambina, nata due anni prima del suo matrimonio con Deborah, e mette sul piatto The idiot di Iggy pop, che si incanterà in fondo all’ultimo solco, mentre il piatto continua a girare.

«It’s creeping up slowly, the last fatal hour ….»

Nessuno saprà mai cosa scatta nella mente di un uomo che decide di morire, perché la morte è un attimo e tutte le ragioni sono buone oppure non lo è nessuna, poteva magari bastare un po’ di litio, un nuovo equilibrio. Prendeva tante pesanti medicine per l’epilessia, non aveva mai preso le medicine per l’epilessia che gli erano state prescritte: i suoi biografi – o dovrei dire agiografi – non sono molto precisi su questi aspetti, né serve la precisione, con l’agiografia.

Ci riguardano i motivi della morte di Ian Curtis? no. Ci riguarda invece la sua morte che lo fa diventare immortale, la voce baritonale che canta le sue canzoni, l’irripetibile mix delle sue ossessioni, sparate nella storia della musica come un ciclone.

Perché Ian Curtis non muore mai, basta tornare di nuovo al primo solco, o pigiare play. La sua voce va diretta a quel grumo fermo tra la pancia e il petto, direbbe Carlo Greppi, ne tocca l’oscurità soavemente, ne spalanca il portone con un sol colpo.

«I’m not afraid anymore…»

Il primo disco dei Joy Division, Unknown Pleasures, esce nel 1979. La musica non sarà più la stessa, dopo questo disco. Merito, oltre che loro, è anche del loro produttore, Martin Hannett, che lo rende compresso e oscuro, asciutto e irruente a un tempo, con una serie di effetti sonori e una forte ricerca sul suono: la traccia della chitarra mandata al contrario, lo scricchiolìo delle patatine masticate, lo sciacquone che scorre, i vetri infranti che ti si conficcano nel cervello.

Molti effetti, assieme a una pulizia del suono eccezionale. Chitarra e basso seguono il buio delle sue ossessioni, la batteria le martella a terra, si piegano assieme, corrono verso la gola. Sono potenti i Joy Division, Ian passa l’energia ventenne alle oscurità sospese fra la pancia e il petto, le chiama fuori, di colpo diventa coro, parteggia per il tuo buio, lo narra oltre i tuoi confini: diventa il buio di tutti, il coro delle vite adulte miserrime che non sanno chi sei e ti fanno orrore, in un attimo non sei più solo con i tuoi pensieri disordinati, scomposti in fondo agli occhi: c’è qualcuno che racconta anche te.

Così ogni anno, il 18 maggio e il 15 luglio, strani pellegrini provenienti da tutto il mondo attraversano Macclesfield verso il suo cimitero, qualcuno ne ha reso disponibile la mappa per facilitare la ricerca ai viandanti. Wikipedia ci informa che la cittadina ha, di notevole, solo questo: «Al numero 77 di Barton Street visse e si suicidò Ian Curtis».

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