LA DATA

18 marzo 1314

Parigi, Anno Domini 1314, 18 marzo. Sull’Île aux Juifs, oggi unita all’Île de la Cité, per ordine del re Filippo il Bello, Jacques de Molay – Gran Maestro dei Templari – e Geoffroy de Charnay, precettore di Normandia, vengono bruciati sul rogo. Prima di essere avvolto dalle fiamme, de Molay pronuncia una maledizione contro il Papa Clemente V e il re: «Vi chiamo a comparire entro un anno davanti al tribunale  di Dio, per ricevere il castigo che meritate. Maledetti! Sarete tutti maledetti, voi e i vostri discendenti fino alla tredicesima generazione!». Tant’è: un mese dopo, muore il Papa e, in novembre, anche re Filippo. Nel giro di quindici anni, si estingue senza eredi il ramo diretto dei Capetingi. Una leggenda forse, o una coincidenza: della maledizione non parlano i testimoni diretti, neppure il padre del Boccaccio, che quella sera era presente. Molti secoli dopo, sempre a Parigi, il 21 gennaio 1793, viene decapitato Luigi XVI; è riportata la notizia che il boia Charles-Henri Sanson, prima di calare la ghigliottina, abbia mormorato al sovrano: «Io sono un templare, e sono qui per portare a compimento la vendetta di Jacques de Molay». Giusto tredici generazioni dopo.

Maledizioni a parte, la figura di de Molay ha avuto nei secoli una sorte imprevedibile, tutta legata al mito dei Templari e della Massoneria (anche se solo una piccola lapide, sul luogo della sua esecuzione, lo ricorda oggi, sul lato occidentale del Pont Neuf). Nato fra il 1240 e il 1250, figlio di un nobile burgundo e della figlia del sire di Rahon, venne accolto nell’Ordine dei Templari a Beaune, ma soltanto a partire dal 1270 il suo nome riaffiora dagli annali. Lo si vuole in Outremer (in Terra Santa),  ma nel 1290 si stabilì a Cipro e non poté partecipare alla difesa di San Giovanni d’Acri l’anno successivo. A partire dal 1294, ricoprì la carica di capo dell’Ordine stesso. Nel corso del processo ai Templari del 1307, fu sottoposto a tortura, avallando le tesi dell’accusa; poi ritrattò le sue dichiarazioni, firmando così la sua condanna a morte. Gli storici che si sono occupati del processo (la prima trascrizione integrale si deve a Jules Michelet), hanno denunciato la mostruosità di un sistema che prevedeva accuse pre-confezionate, confessioni estorte con la forza e, appunto, la pena di morte per chi ritrattava, i cosiddetti relapsi. Secondo le dicerie, per l’accusa, i Templari peccavano di eresia durante i loro riti, rinnegando Cristo; adoravano la testa di un uomo barbuto, detto Baphomet e tenevano comportamenti sessuali scandalosi, come baciarsi reciprocamente nelle parti intime o intrattenere rapporti sodomitici con i confratelli.

La figura di de Molay, così come l’Ordine dei Templari, sono divenuti oggetto – da almeno tre secoli – di grande curiosità ed attenzione, fino a farne i protagonisti di romanzi, saggi e persino videogiochi. Basti pensare al celebre Il Santo Graal degli inglesi Baigent, Leigh e Lincoln, la fantasiosa inchiesta per cui Cristo non morì sulla croce, ma – sposando Maria Maddalena – dette origine alla progenie del “Sang Real”; oppure a Il pendolo di Foucault di Umberto Eco, vera e propria summa di pseudo-scienze esoteriche e complottistiche. Nel più recente La chiave di Hiram di Christopher Knight e Robert Lomas, Jacques de Molay e l’uomo della Sindone sono addirittura la stessa persona. Il videogioco di culto Assassin’s Creed (2007) prevede, invece, che de Molay rinunci a difendersi e muoia sul rogo, proprio  per far credere che i Templari siano definitivamente estinti.

Su questo si potrebbero avere dei dubbi, a giudicare dalle istituzioni che – a tutt’oggi – si rifanno alla sua figura e alle sue idee. Due per tutte: la prima, attiva per l’Italia, si chiama Militia Templi. Christi pauperum Militum Ordo (con tanto di telefono e indirizzo email), più comunemente chiamata “Fondazione Jacques de Molay”. Con sede al Castello della Magione – storico complesso ospedaliero medioevale, inserito tra le “Mille meraviglie d’Italia” – a Poggibonsi, in provincia di Siena, si occupa ancor oggi di raccogliere offerte e donazioni per soccorrere i poveri e i cristiani di Terra Santa, per accogliere i pellegrini e costruire  strutture ricettive. La seconda è un organismo con milioni di adepti in tutto il mondo: l’Ordine DeMolay. Si tratta di un’organizzazione internazionale di carattere iniziatico, tutta dedicata ai ragazzi dai dodici ai ventun anni di età, ispirata ai principi della cavalleria templare. A sviluppare l’idea di una “fratellanza” giovanile fu il massone statunitense Frank S. Land, appartenente al DeMolay Council of Kadosh di Kansas City, nel primo dopoguerra. L’Ordine nacque con l’intento iniziale di dare una famiglia a tutti i ragazzi rimasti orfani dopo la guerra, e fortificare in loro fiducia e principi morali. Anche se l’organizzazione non discende direttamente dai Cavalieri Templari, il nome di Jacques de Molay – ventitreesimo e ultimo dei grandi Maestri – è strettamente legato a molti dei suoi rituali. La correlazione con la massoneria, anche se non del tutto esplicita, è forte, sia per la simbologia adottata, sia per la struttura. Ai DeMolay (così vengono chiamati gli affiliati) non si richiede di professare un credo o un’ideologia in particolare. Piuttosto s’insegna ai giovani – niente quote rosa, ovvio – «di essere uomini e vincenti in ogni campo», d’impegnarsi nella società, nel lavoro. Nel motto del fondatore Dad Land : «Nessun DeMolay dovrà mai fallire, come cittadino, come leader o come uomo». L’Ordine ha una struttura precisa: è diviso in Capitoli (un Capitolo prevede almeno quindici DeMolay attivi e un luogo adatto di riunione). Esistono più di diecimila Capitoli in tutto il mondo. In Italia ve ne sono diversi, tra cui il “Fidelitas” a Milano, il Capitolo “Roma Numero Uno” nella capitale, “Magna Grecia” a Napoli, “Fortitudo” a Palermo, “Militiae Templi” a Cagliari, “Excalibur” a Cosenza.

Sono stati DeMolay gli astronauti Frank Borman e Vance D. Brand, Bill Clinton, Walt Disney, John Steinbeck e John Wayne. Per il buon Jacques, un’autentica armata Brancaleone:  gente che non può fallire.

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