LA DATA

19 febbraio 1937

19 Febbraio 1937:dall’attentato al viceré Rodolfo Graziani ad una delle più crudeli rappresaglie della storia.

Questa è una storia per cui ancora oggi dobbiamo provare una profonda vergogna, una storia che ci ha collocati all’ultimo gradino della scala umana. Un insieme di episodi di indiscriminata e brutale rappresaglia, compiuti tra il 19 e il 21 febbraio 1937 nella capitale dell’Etiopia, Addis Abeba, da parte di civili italiani, militari del Regio Esercito e squadre fasciste contro civili etiopici.

La guerra d’Etiopia si svolse tra il 3 ottobre 1935 e il 5 maggio 1936 e vide contrapposti il Regno d’Italia e l’Impero d’Etiopia. Il regime fascista impiegò una grande quantità di mezzi propagandistici con lo scopo di impostare e condurre una guerra in linea con le esigenze di prestigio internazionale e di rinsaldamento interno del regime stesso, volute da Benito Mussolini. In questo contesto i vertici militari e politici italiani non badarono a spese per il raggiungimento dell’obiettivo. Il 5 maggio le truppe del maresciallo Pietro Badoglio entrarono nella capitale Addis Abeba, il 9 maggio dal balcone di Palazzo Venezia Benito Mussolini proclamò l’impero. Il 20 maggio Badoglio, lasciò al generale Rodolfo Graziani il titolo di viceré d’Etiopia, governatore generale e comandante superiore delle truppe.

Nel gennaio 1937 il generale Graziani guidò personalmente le operazioni di “grande polizia coloniale”, che si conclusero nel febbraio 1937 con il completo annientamento delle rimanenti forze etiopiche. Graziani adottò la politica del pugno di ferro, e, contravvenendo ad ogni regola di guerra, con il benestare di Mussolini venne deciso di non considerare i capi e i gregari catturati come prigionieri di guerra di un esercito regolare, bensì ribelli da abbattere.

Contemporaneamente continuava inesorabile la caccia ai cadetti della scuola militare di Olettà e dei giovani che si erano laureati all’estero, per i quali, sin dal 3 maggio 1936, Mussolini aveva sentenziato: «Siano fucilati sommariamente tutti i cosiddetti giovani, etiopici, barbari crudeli e pretenziosi, autori morali dei saccheggi».

In questo clima di tensione Il 19 febbraio, in occasione della nascita di Vittorio Emanuele, primogenito di Umberto II di Savoia, il Viceré dà ordine di preparare una cerimonia pubblica nel giorno della festa della Purificazione della Vergine secondo il calendario copto. Graziani, volendo imitare un’usanza etiope, decide di distribuire a ciascuno dei poveri di Addis Abeba due talleri d’argento, uno in più rispetto a quanto ha sempre distribuito Hailé Selassié, volendo dimostrare la generosità del governo italiano rispetto a quello Negus.

Improvvisamente due intellettuali eritrei (Abraham Debotch e Mogus Asghedom) lanciano contro il palco 7 o 8 bombe a mano uccidendo quattro italiani, tre indigeni e ferendo una cinquantina di presenti, tra cui lo stesso Graziani, colpito da 350 schegge. Si scatena immediata la rappresaglia incontrollata contro la popolazione civile dei militari italiani e degli ascari libici sulla folla che cerca di fuggire. Si spara per tre ore. Molte persone vengono uccise anche a colpi di scudiscio nei saloni del palazzo.

Non da meno la popolazione dei civili italiani, così racconta quei momenti il giornalista Ciro Poggiali, inviato speciale del “Corriere della Sera” ferito leggermente ad una gamba: «Tutti i civili che si trovano ad Addis Abeba, in mancanza di una organizzazione militare o poliziesca, hanno assunto il compito della vendetta condotta fulmineamente coi sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada. Vengon fatti arresti in massa; mandrie di negri sono spinti a tremendi colpi di curbascio come un gregge. In breve le strade intorno al tucul sono seminate di morti. Vedo un autista che dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara ed innocente».

Il fallito attentato diventa, dunque, l’occasione per quello che Mussolini definisce, in un telegramma a Graziani del 20 febbraio, «inizio di quel radicale repulisti assolutamente (…) necessario» . Nei giorni tra il 19 e il 21 febbraio vengono uccise circa 6.000 persone. Ma la rappresaglia sembra non aver fine: su ordine di Graziani alla fine di febbraio vengono fucilate decine di notabili e ufficiali etiopi. Le esecuzioni proseguono anche a marzo e Graziani ordina anche la fucilazione di tutti i cantastorie, gli indovini e gli stregoni di Addis Abeba e dintorni, in quanto responsabili di annunciare nei vari mercati la fine prossima del dominio italiano. L’iniziativa è approvata da Mussolini. E l’elenco delle fucilazioni prosegue dal 27 marzo al 25 luglio 1937 per un totale di 1.877 esecuzioni. Ed ancora il 13 maggio con la distruzione del convento di Gulteniè Ghedem Micael e la fucilazione dei monaci considerati complici nell’attentato da Graziani, che ordina di passare «per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vicepriore» Fino al 27 maggio vengono passati per le armi 449 tra monaci e diaconi. Ma la lista è ancora più lunga e come se non bastasse, nessuno ha mai pagato per questi crimini…