LA DATA

19 settembre 1991

Sulle Alpi Venoste, al confine fra Italia e Austria, il 19 settembre 1991, viene rinvenuta da una coppia di escursionisti tedeschi (Helmut ed Erika Simon), quella che ad oggi si può considerare la seconda mummia più celebre dello scorso millennio, visto che niente e nessuno può contendere il primato a quella di Tutankhamon, riportata alla luce da Howard Carter nel 1924. L’uomo del Similaun, dal nome del ghiacciaio ai cui piedi è stato ritrovato, o più confidenzialmente Ötzi (da Ötzal, il nome della vallata tirolese), viene in un primo momento creduto un alpinista disperso in tempi relativamente recenti. Infatti, allertata la gendarmeria austriaca, il recupero avviene senza le cautele dovute ad un importante reperto archeologico e nelle operazioni vengono involontariamente danneggiati parte dei tessuti, delle ossa e dell’equipaggiamento dello sconosciuto.

Ben presto però gli esperti di Innsbrück, dove i resti vengono portati per le analisi, li attribuiscono a un ben più antico abitante di quelle valli, probabilmente originario della zona di Bressanone (come rivela l’esame del DNA mitocondriale), risalente a circa 5300 anni fa e appartenente alla specie Homo sapiens, che popolava l’Europa durante l’Età del Rame: siamo, per intendersi, sul finire della Preistoria, alle soglie dell’epoca in cui, in Mesopotamia, nasce la scrittura.

Corredato di arco, frecce, pugnale di selce, ascia di rame, esche e acciarino, l’uomo era presumibilmente abbigliato con scarpe, pantaloni aderenti, mantello; alto circa 1 metro e 60 centimetri, era un cacciatore o un pastore tra i 40 ed i 50 anni (età considerevole per gli standard preistorici): l’esame dei suoi ultimi pasti indica che consumava carni, fra cui speck di alce o di cervo, e era afflitto da una non meglio precisata malattia cronica. Nuove e più accurate indagini radiografiche e tomografiche hanno poi evidenziato la presenza, nella spalla sinistra, di una punta di freccia che aveva danneggiato un arteria, causando un rapido dissanguamento. Pur non avendo leso organi vitali, è ragionevole supporre che essa sia stata la causa della morte per l’uomo venuto dal ghiaccio, che peraltro si sarebbe difeso dal suo aggressore, come dimostra un taglio piuttosto profondo sulla mano destra; i pollini rinvenuti nel suo intestino e le foglie d’acero di montagna, colte fresche dall’albero, hanno permesso, infine, di fissare il momento della morte all’inizio dell’estate.

L’esame della pelle di Ötzi ha inoltre rivelato la presenza di numerosi tatuaggi (se ne sono contati 61 in tutto), posizionati nella parte bassa della colonna vertebrale, dietro il ginocchio sinistro e sulla caviglia destra, in corrispondenza di aree che l’esame radiologico ha indicato come affette da artrosi: potrebbe dunque trattarsi dei segni di una forma curativo-religiosa non troppo lontana dall’agopuntura.

La vasta copertura mediatica dell’evento ha suscitato interesse in tutto il mondo per le vicende di Ötzi (pare che Brad Pitt se ne sia fatto a sua volta tatuare il profilo sull’avambraccio) e ha alimentato la diatriba fra Italia e Austria per l’attribuzione dei resti. Fino a che, stabilito che seppur il ritrovamento è avvenuto a sud del Brennero, con accordo fra il Governo austriaco e la Provincia autonoma di Bolzano si è stabilito che la città altoatesina creasse una sezione apposita presso il suo Museo Archeologico. Non sono mancate neanche le cause legali: quella intentata dai coniugi Simon contro la provincia di Bolzano (pare che i protagonisti della straordinaria scoperta intendessero partecipare agli utili, ma non accollarsi una quota delle spese di conservazione della mummia) è durata venti anni e si è conclusa con il riconoscimento di un assegno di 175.000 euro come simbolico compenso per il ritrovamento.

Infine le superstizioni: alla maniera del già citato Faraone, la cui maledizione avrebbe colpito con morte precoce molti dei partecipanti alla spedizione nella Valle dei Re, anche per Ötzi si è osservata, o si è voluta vedere, una serie di decessi delle persone a vario titolo coinvolte nella vicenda: dallo stesso Helmut Simon (morto a causa della caduta accidentale in una scarpata durante un’escursione) a Rainer Hölzl, operatore della  rete televisiva austriaca; da Kurt Fritz, l’alpinista che aiutò a trasferire la mummia a Bolzano e Günther Henn, il medico legale che aveva studiato per primo i resti, fino a Konrad Spindler, l’archeologo che descrisse la storia di Ötzi in un famoso libro, morto il 17 aprile 2005 per una forma aggressiva di sclerosi multipla. Chiude la fatale lista Tom Loy, l’anatomo-patologo statunitense che per primo studiò il DNA dell’Uomo dei ghiacci, deceduto nel 2005 nella sua casa di Brisbane in circostanze non del tutto chiarite. E infine, per la cronaca, ad Ötzi è stato dedicato l’asteroide 5803: giusto per ricordare che sì, siamo tutti polvere di stelle.

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