LA DATA

2 giugno 1981

«La strada era buia, s’andò al San Camillo/ e lì non l’accettarono forse per l’orario,/ si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni/ e lì non lo vollero per lo sciopero».Sono i versi di una canzone, La ballata di Renzo, scritta da un ancora sconosciuto Rino Gaetano dieci anni prima di morire, che continuano a suonare profetici. La notte del 2 giugno 1981, infatti, il cantautore si schianterà  sulla Nomentana con la sua Volvo contro un camion, dopo aver invaso la carreggiata opposta, forse per un colpo di sonno o per un malore.

Gaetano morirà all’alba, dopo che i soccorritori avranno girato pressoché tutti gli ospedali della Capitale venendone respinti per mancanza di posti o perché non sufficientemente attrezzati per i gravi traumi riportati dal cantante nello schianto. Tre degli ospedali che ne rifiutarono il ricovero, erano citati anche nella canzone scritta da giovanissimo, in cui il protagonista, Renzo, viene investito di notte da un’auto e muore dopo essere stato respinto da diversi ospedali.

Una coincidenza, sembrerebbe, se non fosse che dopo la morte di Rino Gaetano emersero molti altri elementi che potevano far pensare a un omicidio mascherato da incidente. Di certo, le indagini si chiusero molto in fretta (malgrado fosse stata fatta anche un’interrogazione parlamentare) e il caso venne archiviato come un tragico destino che aveva strappato al pubblico uno dei più geniali protagonisti della musica italiana, a soli trent’anni.

Furono proprio le canzoni del cantante calabrese trapiantato a Roma, rilette e rivalutate nel corso degli anni, a seminare dubbi sulla fatalità della sua scomparsa. Tra l’altro pochi mesi prima di morire Gaetano era uscito miracolosamente vivo da un altro tremendo incidente: l’auto di un pirata della strada, mai identificato, l’aveva spinto fuori strada mentre viaggiava sulla sua precedente Volvo, che era andata completamente distrutta.

Leggendo i testi apparentemente pieni di nonsense delle canzoni di Rino, si trovano riferimenti più o meno espliciti a personaggi e a situazioni politiche dell’epoca. Tra le ipotesi mai del tutto confutate, vi è quella che voleva il cantante vicino a una loggia massonica occulta, forse l’ordine della Rosa Rossa, di cui aveva conosciuto segreti che si era divertito a divulgare con le sue canzoni, sia pure in forma mascherata ed ellittica. Un errore che gli sarebbe costato caro, anche se non c’è nulla di più scontato per un cantautore  che mettersi a “cantare”.

Allusioni a misteri della Repubblica (che si festeggiava proprio il giorno della sua morte), frasi criptiche, chiamate in causa con tanto di nomi e cognomi di personaggi viventi della cultura e della politica (tra cui alcuni che si scoprirà solo in seguito appartenere alla Loggia P2 di Licio Gelli), uno stile buffonesco tipico di chi maschera la realtà dietro a uno sberleffo.

Ma, dunque, Rino Gaetano sarebbe stato preveggente sulla propria sorte? O piuttosto rimase vittima di un piano omicida costruito nei minimi dettagli attingendo proprio alla sua produzione, con l’ampio utilizzo di simbologie tipiche di certi ambienti coperti? O la sua fine doveva servire da monito per altri? Questo potrebbe restare un cold case in eterno.

Nel 1979, durante un concerto a Capocotta (sulla cui spiaggia venne rinvenuto il cadavere della giovane Wilma Montesi, vicenda che diede vita a uno dei maggiori scandali politici del dopoguerra) Rino Gaetano pronunciò queste parole, dimostrando di riuscire a guardare molto bene nel futuro: «C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno! Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno che cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale! E si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta».