LA DATA

2 novembre 1975

Idroscalo di Ostia, è l’alba del 2 novembre 1975: in un campo inaridito e spelacchiato, accanto a un campetto da calcio di periferia, viene ritrovato il corpo di un uomo massacrato di botte e poi investito con la sua stessa auto da qualcuno che si è dato alla fuga forse con un altro mezzo. Il corpo è irriconoscibile, ma la macchina viene subito attribuita al legittimo proprietario. Si tratta di uno dei massimi intellettuali del Novecento e l’amico attore Ninetto Davoli darà poco dopo la conferma: il cadavere vittima di un assurdo accanimento è quello di Pier Paolo Pasolini.

Dopo 42 anni di indagini, processi, confessioni, ritrattazioni, inchieste giornalistiche, omertà, silenzi e depistaggi l’omicidio di Pasolini è entrato a far parte del grande albo dei cosiddetti misteri d’Italia. Proprio pochi mesi fa, infatti, è morto a 59 anni Giuseppe Pelosi, detto Pino la Rana, il ragazzo all’epoca diciassettenne che passò con il poeta di Le ceneri di Gramsci l’ultima serata e che fu sicuramente presente al delitto. Il giovane di borgata, uno dei tanti “ragazzi di vita” raccontati da Pasolini nei suoi romanzi, si autoaccusò del delitto sostenendo di essersi dovuto difendere da un’aggressione per una prestazione sessuale respinta. Per questo fu condannato in primo grado e in appello; condanna confermata dalla Cassazione nel 1979.

A processo finito, però, rimasero i dubbi, esplicitati anche dalla Corte d’assise di primo grado sostenendo che quella notte all’Idroscalo Pelosi non era solo con Pasolini. Soltanto molti anni dopo, nel 2005, Pino la Rana cominciò a raccontare una storia diversa da quella sempre sostenuta e a collocare altre persone sulla scena del delitto. Lo fece durante un’intervista condotta da Franca Leosini per la trasmissione Rai Ombre sul giallo e, successivamente, in una sua autobiografia in cui sosteneva di avere taciuto per tanti anni perché c’era in ballo l’incolumità della sua famiglia e di aver cominciato a parlare quando ormai i responsabili erano morti. Dalle indicazioni fornite da Pelosi, gli esecutori materiali sono stati individuati in due fratelli criminali e militanti nell’estrema destra romana, tossicomani, morti di Aids negli anni Novanta.

Una nuova inchiesta sul delitto si è chiusa nel 2015 con un’archiviazione. La verità viene ancora cercata da chi è sempre più convinto che quello di Pasolini sia stato un omicidio su commissione, che nulla aveva a che vedere con la vita sessuale del poeta. Forse un delitto di Stato. Negli ultimi anni della sua vita PPP aveva lavorato sul potere, sugli orrori che questo può produrre, su quanto il desiderio di possederlo possa produrre grandi crimini. Lo aveva descritto in quella terribile allegoria che è il suo ultimo film, terminato pochi giorni prima di morire, Salò o le 120 giornate di Sodoma e se ne stava occupando per il romanzo-inchiesta Petrolio a cui stava lavorando negli ultimi mesi.

Da subito, e poi nel corso dei decenni, amici del poeta (grandi scrittori e intellettuali come Moravia ed Eco), giornalisti, magistrati, avvocati, politici, si sono schierati in favore della verità giudiziaria raggiunta o delle tesi “complottiste” (la prima in tal senso fu Oriana Fallaci). Si trattò di un “banale” delitto maturato nel mondo della prostituzione omosessuale o i giovani sbandati presenti quella notte all’Idroscalo furono il più o meno inconsapevole braccio armato di qualcun altro? Pasolini ha pagato con la vita il suo essere un poeta scomodo? Al di là delle sentenze, la verità storica non è ancora stata scritta.