DAILY LA DATA

21 febbraio 1925
Esce “The New Yorker”

Dubuque è una cittadina lungo il fiume Mississippi, nel “marginale” stato dell’Iowa. Quando il 21 febbraio 1925 uscì per la prima volta nelle edicole la sofisticata, autorevole ma anche corrosiva rivista “The New Yorker” – fin dalla testata, malgrado il suo taglio cosmopolita, indissolubilmente legato alla Grande Mela – mise subito in chiaro di non essere una pubblicazione «for the old lady in Dubuque», per le vecchie signore di Dubuque.

Furono Harold Ross – ex direttore di “Stars and Stripes” (“Stelle e strisce”, la testata dell’esercito americano) e collaboratore del periodico umoristico “Judge” – e sua moglie Jane Grant, giornalista anch’essa e niente-popò-di-meno-che del “New York Times”. I soldi ce li mise Raoul H. Fleischman, trovarono una sede a Manhattan, sulla 45esima strada e dettero vita alla F-R Publishing Company.

Ricco di reportage e autorevoli commenti sociali e politici, curatissimo nella veste grafica, apprezzato per la sua rigorosa verifica delle notizie, “The New Yorker” fin dall’inizio si è contraddistinto per il suo taglio culturale, ma soprattutto per essere il luogo privilegiato d’incontro di scrittori e giornalisti affermati – o che presto lo sarebbero diventati, anche proprio per aver scritto lì – come Vladimir Nabokov, Philip Roth e J.D. Salinger. Oltre ad essi anche Ann Beattie, John Cheever, Roald Dahl, Alice Munro, Haruki Murakami, John O’Hara, Irwin Shaw, George Steiner, John Updike, Eudora Welty, E. B. White e Richard Yates.

La rivista, infatti, edita oggi dalla Condé Nast, ospita articoli di critica, ma anche racconti, poesie, veri e propri saggi.

L’altra sua caratteristica è stata quella di pubblicare vignette e assegnare a disegnatori d’eccezione e a grandi artisti l’illustrazione degli articoli e degli altri testi.

L’elenco è lungo ma è d’obbligo ricordare almeno Peter Arno, Charles Barsotti, George Booth, Roz Chast, Sam Cobean, Helen E. Hokinson, Ed Koren, Mary Petty, George Price, Charles Saxon, David Snell, Otto Soglow, Art Spiegelman, Saul Steinberg, William Steig, Richard Taylor, Barney Tobey, James Thurber, Richard Decker e Gahan Wilson. Ad essi si aggiungono gli italiani Fortunato Depero e Lorenzo Mattotti che hanno realizzato numerose copertine per “The New Yorker” rispettivamente alla fine degli anni Venti e nei giorni nostri.

Anche Charles Addams pubblicò sul periodico, a partire dal 1956, le sue vignette che nel 1964 dettero il via alla celebre serie televisivaLa famiglia Addams.

Da ricordare che fu proprio su “The New Yorker” che Hannah Arendt pubblicò il resoconto del processo Eichman divenuto poi La banalità del male.