DAILY LA DATA

21 gennaio 2005
Muore il serial killer “Hippopotamus”

In questa rubrica fatta di grandi nomi e grandi eventi, proverei a lasciare spazio – giusto per ricordare la fragilità della nostra specie – agli ultimi… che poi ultimi non sono – anzi… forse ultimi è una parola scorretta – diciamo allora gli uomini ombra, i cattivi, quelli del dark side, che esistono, ma è bene dimenticarsene. Oggi ad esempio si ricorda la scomparsa di “Hippopotamus”. Era un russo grande e grosso, alto due metri e pesante 130 chilogrammi. Si chiamava Sergej Vasil’evic Rjachovskij ed è forse il più famoso paranoico della storia recente – che in fatti di matti è bella ricca – altrimenti battezzato da noi occidentali con il termine di serial killer. Fu preso per caso. Nel corso di un controllo, dopo un suo omicidio, fu scoperta una baracca con un cappio penzolante dal soffitto. Grazie ad un appostamento fu arrestato. Sergej era pazzo. Di quelli profondamente disturbati. Jonathan Demme – regista de “Il silenzio degli innocenti” che si inventò Hannibal Lecter – impallidirebbe di fronte a lui. Uccise uomini, donne e ragazzi. Soprattutto donne. Era affetto anche da necrofilia (gli piaceva fare sesso con i cadaveri) il che completa il desolante quadro di ciò che si intende per male quando nasce nella testa dell’uomo.  Secondo le sue confessioni, la maggior parte dei delitti non fu premeditata, ma istintiva. Era affetto insomma da impulsi omicidi, impulsi improvvisi e irrefrenabili per «ripulire il mondo da omosessuali e prostitute».

Secondo gli psichiatri questa follia era causata dal malfunzionamento del sistema nervoso centrale (sic e dico sic non solo perché la definizione è vera, ma perché immiserisce la sofferenza, come se l’uomo fosse una macchina e questo pazzo avesse un relé mal funzionante). Fu condannato alla pena capitale per fucilazione. Al processo si mostrò violento. Gli addebitarono 19 omicidi (dodici donne, cinque uomini e due ragazzi) e sei tentati omicidi. Dopo aver ascoltato il verdetto disse «tornerò» e tutti si spaventarono. Non aveva torto. In Russia, l’anno successivo, fu fatta una moratoria sulle esecuzioni capitali. Lui se la cavò con l’ergastolo. È morto il 21 gennaio del 2005 (in carcere comunque) a causa di un attacco di tubercolosi.

Era un uomo cattivo, semmai questo aggettivo può essere speso in circostanze crudeli ed efferate come queste. Le sue vittime le colpiva nei pressi di Mosca, a Balasicha. Avevano in media tra i 50 e 60 anni, ma fu travolto anche un ragazzino di 16. Venivano strangolate a mani nude o con una corda. Spesso le picchiava e le dilaniava. Spesso le violentava. Non aveva mai dato segni di squilibrio. Non beveva. Non era un euforico, né un esaltato. Non aveva mai manifestato intemperanza e/o violenza gratuita… Per citare molto a sproposito Annah Arendt diremmo che era “la banalità del male” fatto persona.