LA DATA

21 maggio 1945

Bisagno è il torrente che taglia Genova in senso longitudinale e si getta in mare davanti al quartiere San Pietro alla Foce. E “Bisagno” era il nome da combattente che si era scelto il genovese sottotenente del Genio, Aldo Gastaldi, quando, nel 1943 all’età di 22 anni, salì sui monti per combattere i nazifascisti. Bisagno morì il 21 maggio del 1945 nei pressi di Desenzano, secondo la versione ufficiale, cadendo dal tetto del camion su cui viaggiava per accompagnare a casa gli alpini del battaglione Vestone che avevano scelto di combattere accanto a lui.

A 73 anni dalla sua morte, la figura di Gastaldi, comandante della Divisione Cichero, vicecomandante della VI Zona, (che comprendeva parte della Liguria e i territori montani delle province limitrofe di Piemonte, Lombardia e Emilia), medaglia d’oro al valor militare, celebrato come il “primo partigiano d’Italia” e una delle figure chiave della Resistenza, fa ancora discutere. Tanto che di lui e delle vicende che hanno accompagnato la sua scomparsa si continua a scrivere. Ultimo in ordine di tempo il libro Uccidete il comandante bianco (Rizzoli, 2018) di Giampaolo Pansa, sostenitore della tesi che quello di Bisagno non sia stato un incidente, ma un omicidio. Preceduto poco meno di un anno prima da Io, Bisagno. Il partigiano Aldo Gastaldi (Internòs Edizioni, 2017) dello storico Sandro Antonini, dal quale, viceversa, si evince che le circostanze della morte siano state accidentali. Tra i due due autori, peraltro, si è consumato uno scontro a distanza, raccontato dallo stesso Antonini in una lettera aperta al proprio editore. Il 24 aprile scorso, infine, Rai Storia lo ha ricordato trasmettendo il documentario Bisagno del regista Marco Gandolfo con le testimonianze di alcuni partigiani che con lui avevano combattuto.

Su una cosa sono tutti d’accordo: Aldo Gastaldi è stato un eroe e uno dei capi partigiani più amati. I suoi compagni lo ricordano come una uomo carismatico, spinto dai valori morali della libertà e della giustizia, animato dalla fede cattolica. Viveva il proprio ruolo come servizio e non come potere, era il primo a fare i turni di guardia e a esporsi ai pericoli, l’ultimo a mangiare, sempre pronto a battersi fino all’estremo sacrificio. Era lontano dalla politica, si dichiarava apartitico e non condivideva i tentativi di politicizzare la Resistenza (era contrario all’istituzione di commissari politici). Forse anche per questo aveva finito per diventare una figura scomoda e ingombrante, «che non cercava favori per sé o per i propri uomini», come lo ricorda nel libro di Antonini il partigiano della Brigata Coduri Bernardo Traversaro (“Rum”).

Nelle motivazioni della medaglia d’oro al valor militare, infatti, si legge: «Fra i primissimi ad accorrere in difesa della sua terra oppressa dal nemico, partecipava a numerose azioni di guerra alla testa dei suoi partigiani che lo avevano eletto capo per l’indomito coraggio e l’alto spirito di sacrificio sempre ed ovunque dimostrati. Audace assertore di azioni di sabotaggio distruggeva con leggendario ardimento e tecnica perfetta importanti opere fortificate avversarie, inseguendo, disperdendo e catturando i nemici atterriti, ma ammirati, dalla sua audacia (…)».Oggi una delle principali vie di Genova, dove peraltro di trova la Casa dello studente, porta il suo nome e dal 24 aprile 2005, i suoi resti sono al Pantheon del Cimitero monumentale di Staglieno, insieme i genovesi più illustri.