IL NUMERO

217

Archiviate le manifestazioni per l’8 marzo, le mimose, i sorrisi e gli auguri, il giorno successivo si torna alla realtà. Il gap gender resta identico nei luoghi di lavoro, dai più umili ai più prestigiosi: disparità di stipendio, di avanzamenti di carriera, di incarichi, di considerazione. Chi credeva fosse stato sfondato il famoso “tetto di cristallo” può mettersi il cuore in pace perché il raggiungimento della parità tra uomo e donna sul lavoro noi non la vedremo, ma nemmeno le nostre figlie e le nostre nipoti e bisnipoti.

Mancano infatti 217 anni, secondo una ricerca del World Economic Forum, prima che si raggiunga questo traguardo in Italia. Peggio, in questa classifica, stanno soltanto le donne russe, cinesi e yemenite. Tutte le altre sono avanti almeno di qualche generazione. In Gran Bretagna, per esempio, si calcola che il gap gender verrà colmato tra 118 anni (la posizione in classifica è migliorata da quando, nel 2016, è diventata primo ministro una donna, Theresa May). Molto meglio va nei Paesi del nord Europa – come Svezia, Finlandia e Norvegia – dove la parità di genere dovrebbe essere raggiunta tra non molto. La si tocca quasi con mano in Islanda, ma è chiaro che non si tratta del Paese in cui la maggior parte delle donne mediterranee aspirerebbe a emigrare.

Tra i 145 Paesi presi in considerazione dal WEF, l’Italia si colloca al 127° posto in tema d’eguaglianza tra sessi e al 92° per quanto riguarda il divario retributivo. Del resto l’Italia ha anche una bassa percentuale di lavoro femminile, 51%. Secondo i dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, si colloca al terzultimo posto tra i Paesi dell’OCSE, prima solo di Turchia e Messico.

La situazione sconsolante non deve però portare le italiane a smettere di lottare. È vero che nessuna delle viventi vedrà la fine del gender gap sul lavoro, ma non si sottovaluti il fatto che si potrebbe anche peggiorare rispetto a questa previsione. L’impegno di oggi è, dunque, per le nostre discendenti del 2235 o, speriamo, anche di qualche anno prima.

Lo studio del WEF viene ampiamente riportato in questo articolo di “The Guardian”.

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