LA DATA

23 novembre 2016

«Viviamo tempi spudoratamente volgari. Ma ogni generazione ha le sue plebi. Imbecilli ci sono sempre stati, dappertutto, tra i vecchi e tra i giovani».

Mente lucida e caustica, lingua tagliente quella di Vittorio Semonti, scrittore, dantista, regista televisivo e di teatro, traduttore, morto a Roma il 23 novembre 2016 all’età di 87 anni.

A lui, assai più che a Roberto Benigni con il quale entrò apertamente in polemica proprio su Dante, nel 2007, dobbiamo la riscoperta della Divina Commedia, oltre alle traduzioni di Virgilio e di Ovidio.

Unanimemente ritenuto uno dei più grandi dantisti italiani, era nato a Roma il 26 settembre 1929, sesto di sette figli, in una famiglia agiata che aveva tra le proprie frequentazioni Vittorio Emanuele Orlando, Luigi Pirandello, il banchiere Enrico Cuccia. In sintesi quasi un “figlio d’arte” che già da bambino si muoveva tra politici, scrittori ed esperti di finanza, masticando quel seme della curiosità e della cultura a un livello che negli anni ’30 era concesso a pochi.

In una intervista rilasciata a “La Repubblica” nel 2013 e riproposta ai lettori il 24 novembre 2016, Sermonti stesso sottolineò la “fortuna della sua origine”: «mio padre era un avvocato. Credo che abbia avuto un peso nella mia vita perché mi leggeva Dante quando avevo dieci anni. Il mio padrino di nascita era stato Vittorio Emanuele Orlando. Mio nonno, anche lui avvocato, fu il primo nel processo Notarbartolo a Palermo a pronunciare la parola mafia. Tanto è vero che la famiglia fu costretta a trasferirsi a Roma. Consuocero di mio nonno era Beneduce. E delle volte che capitavamo a casa sua, ricordo delle partite di poker alle quali, in un paio di occasioni, partecipò Enrico Cuccia, genero di Beneduce».

Laureato in Filologia romanza all’Università La Sapienza di Roma, con relatore della tesi, tanto per fare un nome a caso, Natalino Sapegno, Vittorio Sermonti mosse i primi passi di scrittore e intellettuale tra Pasolini, Parise e Bassani. È stato anche giornalista e ha collaborato dapprima con “L’Unità”, poi con “Il Mattino” e  in tempi più recenti, con “Il Corriere della sera”. E quando si è dato alla regia di programmi radiofonici e televisivi, ha lavorato tra gli altri con Gassman, Paolo Poli, Carmelo Bene.

Ha scritto quattro romanzi, un libro di poesie, ha curato le traduzioni della Divina Commedia, delle Metamorfosi di Ovidio e dell’Eneide di Virgilio, oltre ad aver pubblicato numerosi saggi su Dante, ma anche sulla lettura e sulla scrittura. Linguista sopraffino, a lui è concesso dire che «lo stato della lingua italiana è una specie di terra di nessuno: tra l’inglese, i dialetti e il lessico di Aldo Biscardi».

Il suo ricordo e la sua più importante eredità culturale è, tuttavia, indissolubilmente legata alla registrazione radiofonica della Divina Commedia, che la Rai gli affidò nel 1987. Ognuno dei 100 canti era introdotto da una premessa critica che Sermonti aveva scritto in collaborazione con il critico letterario e accademico Gianfranco Contini. Dopo questa esperienza che si chiuse nel 1992, Sermonti cominciò le letture pubbliche della Commedia in tutta Italia e all’estero, sempre davanti a migliaia di persone.

Pochi anni fa ha registrato tutti i commenti e i canti della Divina Commedia, dell’Eneide e delle Metamorfosi. Un patrimonio inestimabile che, come ha scritto, ricordandolo, Davide Tortorella, «ha traghettato in salvo il poema dantesco per noi lettori nel terzo millennio».