LA DATA

23 settembre 1952
Rocky Marciano campione del mondo dei pesi massimi

Pierino Marchegiano e Pasqualina Picciuto sono stati due dei tanti emigrati italiani che avevano lasciato il paese nei primi anni del secolo.
Pasqualina è una signora robusta, ha un paio di grossi occhiali da miope, indossa vestiti color pastello e tiene su i capelli con un fermaglio. Ha la faccia piena, le guance rotonde come il resto del corpo in salute. Viene da San Bartolomeo in Galdo nella provincia di Benevento.
Pierino Marchegiano viene da Ripa Teatina, in Abruzzo. È piccolino, ma forte. Vive a Brockton, cittadina di sessantamila anime a sud di Boston. Fa il fabbro, come il papà, poi diventa calzolaio. Durante la Prima Guerra Mondiale è con il II Marines. A Chateau Thierry, in Francia, il gas gli entra nei polmoni e ne mina la salute.
Arrivati all’America, come si diceva all’epoca, ognuno per conto suo, si conoscono e si sposano.

I due ancora non sanno cosa li aspetta quando il 1 settembre del 1923 nasce Francesco Rocco. Rocco, poi Rocky come l’eroe di Stallone, fisico tarchiato e piantato in terra come una quercia, passerà alla storia come l’unico peso massimo che si ritirerà imbattuto con 49 vittorie di cui 43 per KO. Tarchiato, lento, tecnicamente grezzo e dotato di un allungo inferiore alla media dei massimi, Marciano riesce a compensare questi limiti con l’aggressività, la resistenza fisica e, soprattutto, col suo destro terrificante, che gli valse il soprannome di “The Brockton Blockbuster”.

Dario Borromeo, giornalista e scrittore, nel suo libro Anche i pugili piangono racconta a tal proposito un aneddoto del rapporto tra madre e figlio: “Ogni volta che combatte, Pasqualina sale sulla macchina di Rocco Del Colliano, il medico di famiglia, e si fa portare in giro per il quartiere. Il dottore ha una fermata fissa davanti alla chiesa. Lei entra, prega, accende un paio di ceri.
«Pasqualina, non avete mai visto Rocky combattere?».
«Mai, e mai lo vedrò».
«Rocky è forte, vince. Di che cosa avete paura?».
«Che faccia del male all’altro ragazzo, anche lui ha una mamma che prega».
Torna a casa, la radio è spenta. Aspetta solo che il telefono suoni.
«Mamma, sono Rocky. Ho vinto un’altra volta. Nessuno si è fatto male.»
Anche stanotte, Pasqualina dormirà serena.”

Il 23 settembre1952 Rocky diventa campione del mondo dei pesi massimi, ecco il match raccontato da Giovanni Orlando, tratto dal suo libro Rocky Marciano. The king.
Il match si tenne allo Stadio Municipale di Filadelfia, con uno sfavillante parterre di stelle del cinema, oltre che di vecchie glorie della boxe come Ray Sugar Robinson, Willie Pep, Jack Dempsey, Joe Luis, Lack La Motta e altri ancora. L’incontro ha un inizio sorprendente, poiché è proprio Walcott a spizzare tatticamente Marciano, poiché al posto di iniziare a boxare alla sua maniera, cioè in modo ritmato e preciso senza folate aggressive, decide di dare un assalto frontale al picchiatore italo americano. La maggiore velocità, unita alla grande capacità di coordinazione sguarniscono la difesa di Marciano che dopo pochi secondi, fra la sorpresa di tutti, non ultimo il suo allenatore Goldman, assaggia l’amarezza del suo primo atterramento.

Al secondo round la musica non cambia, poiché Walcott è molto preciso e coordinato nei colpi, per cui Marciano è costretto a chiudere il secondo round con una ferita sopra l’occhio destro e il naso sanguinante. Nelle riprese successive, nonostante la continuità dell’efficacia delle azioni di Walcott, Marciano dimostra di reagire con la sua arcinota potenza di colpi, nonostante il disordine delle azioni, riuscendo a provocare danni evidenti al campione.

Tuttavia, anche in questo caso, Maciano subisce ferite importanti che avrebbero compromesso l’esito dell’incontro almeno fino a metà matcht: «Questo fino al sesto round, chiuso con una serie di Marciano che produce danni evidenti all’avversario, costretto a sedersi sulle corde per non andare al tappeto. Purtroppo, sul finire della ripresa, le teste di scontrano con rumore di vetri rotti. Ne escono entrambi con danni evidenti. Marciano ha uno spacco sula fronte e Walcott un taglio profondo sotto l’occhio sinistro.»

Giunti alla fine del dodicesimo round, il conteggio dei punti appare nettamente favorevole al campione, forte della sua ritrovata freschezza atletica unita alla precisione tecnica, ignaro di quale maglio si sarebbe scagliato su di lui di lì a poco. Allo scoccare del tredicesimo gong, il colpo del KO: «Marciano e Walcott si studiano. Il campione ha i guantoni alti molto vicini, le ginocchia leggermente flesse come per scattare in avanti; lo sfidante tiene le braccia in parallelo col viso, le gambe poco lontane l’una dall’altra. Trascorsi i primi trenta secondi, hanno la stessa idea. Partire col destro pesante, quello che lascia il segno. Sparano contemporaneamente, Marciano lo evita di misura, Walcott lo riceve come se fosse una torta. Al centro della mascella. Sullo slancio anche il sinistro arriva, ma è solo un pizzicotto. Il crack percorre lo stadio, come la traiettoria del fulmine che illumina il cielo. Una scarica elettrica senza perdono. Walcott non va giù subito. Prima si flette leggermente, scivola lungo le corde, si appoggia con le braccia, poi di adagia in avanti, privo di qualsiasi energia.»

Rocky morì all’età di 46 anni precipitando con il suo aereo privato.