LA DATA

25 settembre 1996

Il 25 settembre 1996, in Irlanda, è stata chiusa l’ultima delle “Case Magdalene”, strutture gestite da suore di vari Ordini per conto della Chiesa cattolica, all’interno delle quali venivano relegate ex prostitute, ragazze madri o donne la cui condotta era ritenuta immorale per i rigidi costumi irlandesi: ragazze troppo belle, troppo corteggiate, troppo ribelli, fino addirittura alle vittime di stupro, alle orfane e alle bambine abbandonate. E questo non accadeva nel Medioevo, ma ancora alla fine del secolo scorso.

Le prime Case Magdalene (intitolate appunto a Maddalena) erano state aperte nella seconda metà del 1700, inizialmente come rifugio temporaneo per chi voleva abbandonare la vita di strada – o ritrovare “la retta via” – e avere l’opportunità di imparare un mestiere. Rapidamente si trasformarono in altro: luoghi di detenzione, in cui le ospiti erano tenute in un regime quasi di schiavitù, sottoposte a violenze fisiche, psicologiche e sessuali, isolate dal mondo, costrette a lavorare 15 ore al giorno – manco a dirlo – come lavandaie, triste metafora del lavaggio dei “peccati” di cui le poverette si sarebbero macchiate.

In realtà il loro lavoro era un affare per le suore, che riscuotevano denaro per l’attività di lavanderia, ripagando le ragazze con alloggio e vitto scarso, certe che nessuno si sarebbe preoccupato di queste “invisibili”, che in molti casi trovavano la morte nelle case e venivano seppellite in fosse comuni.

La storia è andata avanti finché il lavoro delle “Magdalene Laundries”, come venivano chiamate, non è diventato obsoleto grazie al progresso tecnico che ha reso inutile la manovalanza. È terribile pensare che fino ad appena 22 anni fa, nella civile Europa, fosse tollerata l’esistenza di situazioni di sopraffazione e violenza, di schiavitù legalizzata come quella della Case Magdalene, che hanno continuato ad esistere anche dopo che erano state messe fuorilegge nel 1978. Non è certo nemmeno il numero delle donne che sono state internate. Si parla di 30 mila solo dal 1922 al 1996, ma è un dato approssimativo e non si saprà mai quante siano state le vittime nei 200 anni di attività.

Una vicenda amara e controversa, di cui nessuno ha parlato esplicitamente fin a quando la storia delle Maggies, come venivano chiamate le “ospiti” delle Case, è emersa grazie alle denunce di scrittori, intellettuali, cantanti (è del 1997 la canzone The Magdalene Laundries di Joni Mitchell) e giornalisti, corredate dalle testimonianze delle Maggies stesse. Nel 1993, infatti, a Dublino, era stata venduta una parte di un convento che aveva ospitato una  Magdalene Laundry. Nei lavori di ristrutturazione furono ritrovati i resti di almeno 150 tombe anonime. Lo scandalo che ne seguì portò alla luce, quanto era accaduto in quel convento, grazie anche al racconto di Mary Norris, Josephine McCarthy e Mary-Jo McDonagh, che avevano vissuto nella Casa, e al documentario “Sex in a Cold Climate” di Steve Humphries con interviste ad altre detenute. Vennero fuori storie raccapriccianti di abusi sessuali, psicologici e fisici continuati, da parte delle suore e dei preti, di bambini nati nei conventi a seguito delle violenze e dati in adozione. Nel 2002 la storia è tornata di attualità grazie al film Magdalene di Peter Mullan (nella foto, una scena), premiato con il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia e condannato senza riserve dal Vaticano. Nel 2009, si è tornato a parlarne dopo l’uscita del documentario The Forgotten Maggies di Steven O’Riordan.

Nel 2011, il Comitato contro le torture dell’ONU ha chiesto esplicitamente all’Irlanda di aprire un’inchiesta su quello che è accaduto per decenni nelle lavanderie, ma ad oggi non risulta che i crimini commessi contro queste donne siano stati puniti. Sono solo arrivate, nel 2013, le scuse dell’allora premier irlandese Enda Kenny. Poi il silenzio.

A giugno 2018, tuttavia, un articolo del “New York Times” ha dato la notizia che 220 sopravvissute alle Magdalene Laundries si sono incontrate in un meeting a Dublino. E sono pronte a parlare…

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