DAILY LA DATA

25 settembre 2005
Omicidio di Federico Aldrovandi

Un diciottenne qualunque che torna a casa a piedi, dopo una serata con gli amici, in una tranquilla città di provincia, ma sulla sua strada trova un gruppo di assassini in divisa

Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri. Nomi da non dimenticare, che rappresentano tutto quello che lo Stato non dovrebbe rappresentare e che lo Stato stesso dovrebbe condannare.
Non è andata così, giustizia non è stata fatta. I 4 hanno invocato la legittima difesa, 4 poliziotti contro un ragazzo di 18 anni. Furono tutti condannati per eccesso colposo in omicidio colposo in via definitiva, a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Grazie all’indulto, rimasero da scontare, per i responsabili, solo sei mesi.

Per loro non c’è stata l’espulsione dal corpo di polizia, inoltre i 4 avrebbero dovuto rimborsare al Ministero dell’Interno per danno erariale e d’immagine, i quasi 2 milioni di euro con i quali aveva risarcito la famiglia Aldrovandi affinché si ritirasse dalla parte civile dopo il primo grado, ma se la sono cavata con soli 150mila euro, grazie ad una deliberazione della Corte dei Conti: 16mila ciascuno Forlani e Segatto e 67mila a testa Pontani e Pollastri. Una vergogna al quadrato.

Due manganelli rotti, 54 lesioni, il torace schiacciato sull’asfalto dalle ginocchia dei poliziotti che ha determinato la morte per “asfissia da posizione”, è così che muore Federico Aldrovandi, mentre torna a casa sua a piedi, dopo una serata con gli amici.
Come sappiamo bene non è l’unico “eccesso colposo”: vanno ricordati anche Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Davide Bifolco di soli 16 anni, Riccardo Rasman, Giuseppe Uva e potremmo allungare di molto l’elenco delle persone uccise dalle forze dell’ordine, che, nella maggior parte dei casi, sono state assolte.

A seguito dei fatti di “macelleria messicana” accaduti alla Caserma Bolzaneto e alla scuola Diaz durante il G8 di Genova, il Consiglio d’Europa nel settembre 2001 adottò il primo “Codice di etica della polizia”, che riportava l’adozione di strumenti identificativi per gli agenti delle forze dell’ordine. Da allora, quasi tutti i paesi europei hanno adottato i numeri identificativi sulle divise degli agenti. Tutti, meno che l’Italia, eppure «permetterebbe di individuare i responsabili di un fatto, anziché incolpare tutte le forze dell’ordine quando i responsabili non si trovano», spiega Luca Blasi di ACAD.
Di che civiltà andiamo parlando quando uno Stato non tiene conto delle violenze delle proprie Forze dell’Ordine e costringe la società civile a muoversi per ottenere giustizia?