LA DATA

30 aprile 1977

Quarantuno anni fa la prima marcia delle Madri di Plaza de Mayo.

La brutale campagna repressiva attuata dal generale Jorge Rafael Videla Redondo ebbe il suo momento culminante tra il 1976 e il 1979 e venne condotta in segreto, al di fuori di ogni controllo legale, da una serie di corpi speciali e di unità “antisovversive” costituite dalle forze armate e dalla polizia federale, secondo i programmi pianificati e attuati dalla Giunta militare argentina di repressione violenta attuati con lo scopo di distruggere la cosiddetta “sovversione”, rappresentata dai gruppi guerriglieri marxisti o peronisti attivi in Argentina dal 1970, ed eliminare in generale, qualunque forma di protesta e di dissidenza presente nell’ambiente culturale, politico, sociale, sindacale e universitario del Paese. Essa fu caratterizzata dalla massiccia violazione dei diritti umani e civili nei confronti della popolazione con l’utilizzo di metodi quali la privazione della libertà senza procedimenti giudiziari, la detenzione in luoghi segreti controllati dalle forze armate, la tortura, gli omicidi e le sparizioni.

30 aprile 1977, un piccolo gruppo composto da 14 madri si riunì per la prima volta in Plaza de Mayo, considerato il centro del potere politico nel Paese, per avere risposte riguardo alla sparizione dei propri figli. Le madri che componevano questo gruppo iniziale non si conoscevano, ma si erano incontrate già durante i vari pellegrinaggi alle diverse istituzioni dopo il colpo di Stato del 24 marzo 1976.

L’iniziativa nacque da Azucena Villaflor, proveniente da una famiglia impegnata politicamente, convinta che solamente unendo le forze e manifestando per le proprie richieste a Plaza de Mayo le madri avrebbero ottenuto quello che non riuscivano ad ottenere separatamente.

Insieme ad uno sparuto gruppo di altre donne colpite dalla sparizione dei loro cari, si annodò un fazzoletto bianco in testa, il pañuelo, richiamo al pannolino e alla condizione di madre, e passeggiò silenziosamente intorno al palazzo presidenziale della Casa Rosada. Gli stazionamenti erano vietati, dovevano camminare, così cominciarono a camminare intorno alla Piràmide de Mayo.

Nel mese di dicembre del 1977, otto mesi dopo il primo raduno in piazza, alcuni ufficiali arrestarono tre maadri che risultano tutt’oggi “scomparse”. Maria Ponce de Bianco e Esther Ballestrino de Careaga vennero state rapite dalla Chiesa della Santa Croce l’8 dicembre 1977 da una pattuglia della polizia. Due giorni dopo, durante la commemorazione della Giornata internazionale per i Diritti umani e la pubblicazione da parte del quotidiano “La Naciòn” della prima petizione delle Madri che denunciavano più di mille scomparsi, Azucena Villaflor de DeVincenti fu rapita poco lontano dalla sua casa. Le Madri hanno continuato la loro lotta e non si sono ritirate dalla piazza: «Ci siamo aggrappate a quello che aveva detto Azucena: anche se non ci sarò, voi andate avanti».

Vera Vigevani Jarach, è una testimone diretta dei due Olocausti del secolo scorso. Ebrea italiana emigrata in Argentina subito dopo la promulgazione delle leggi razziali sotto il Fascismo, ha vissuto prima la morte di suo nonno – che si rifiutò di espatriare e morì in un campo di concentramento – e poi la sparizione di sua figlia, anni dopo, sotto la dittatura militare argentina del generale Videla.

Il 25 giugno del 1976 sua figlia Franca – studentessa attiva nei circoli e nei movimenti che si opponevano alla fresca dittatura – venne rapita dalla ESMA, la polizia segreta del regime. Prelevata da un bar di Buenos Aires nei giorni in cui improvvise sparizioni di giovani studenti si ripetevano freneticamente in tutti gli angoli del Paese, venne condotta in un luogo segreto, torturata e poi uccisa in un volo della morte. Aveva diciotto anni.

Vera ricevette una telefonata di rassicurazione da sua figlia poco prima della sua definitiva sparizione. Cominciarono la conversazione in italiano, ma poi Franca disse che le era stato ordinato di parlare spagnolo. Disse ai suoi genitori che stava bene e che sarebbe tornata presto. Nel frattempo innumerevoli famiglie che non avrebbero mai rivisto i propri figli ricevevano telefonate simili. Le testimonianze di alcune delle Madri di Plaza de Mayo, tratte dalle loro interviste sono disponibili nell’archivio orale di Memoria Abierta.

L’“Olocausto sudamericano” come lo definì il giornalista Raimondo Bultrini de “La Repubblica”, conta 30.000 desaparecidos, 15.000 fucilati, 9.000 detenuti e un milione e mezzo di esiliati. Un’intera generazione di argentini venne spazzata via in soli tre anni.

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