LA DATA

30 dicembre 1968

La canzone My way di Frank Sinatra compie cinquant’anni. Fu incisa il 30 dicembre 1968, riutilizzando una melodia composta in Francia che aveva già portato al successo Claude François, con la canzone Comme d’habitude. Una canzone che ha segnato un’epoca, frutto della sagacia di Paul Anka che la sentì alla radio in Francia e ne acquistò i diritti per farne una versione inglese, o meglio americana. Quando la propose a Sinatra, a lui piacque poco; fu sua figlia Nancy a insistere perché la incidesse, dicono le cronache, ed è stata una saggia insistenza.

In un tempo lontano mi iscrissi a un corso lampo di scrittura teatrale con una giovane autrice jugoslava, in quel momento di gran voga per le sue corrispondenze dalla guerra sulle pagine di un quotidiano nazionale. Due giorni per sentirla raccontare la costruzione della trama, la struttura delle scene, la caratterizzazione dei personaggi, e magari imparare qualcosa. Si presentò nervosa, in ritardo di mezz’ora e non intenzionata a recuperare il tempo perso. Poi diventò un po’ più accondiscendente nei nostri confronti, e ci spiegò che lei, per rappresentare in scena il dittatore, lo aveva messo a cantare My way, la canzone simbolo di quanto di più retrivo si possa immaginare, il padrone, il borghese e l’imperialista erano tutti contenuti in quel testo, in quella gestualità scenica, cantando My way. Dopo tre minuti le squillò il telefono e rispose, correndo fuori e cominciando ad imprecare nella sua lingua. Approfittai per chiedere agli altri cos’era My way, che a nessuno era parsa mai fonte di cotanta malvagia. Intanto lei, là fuori, urlò e urlò, tornò in lacrime e prese le sue cose, furiosa. Scappò a litigare di persona senza dirci nemmeno ciao, lasciandoci attoniti e in attesa. Ma non tornò più, ci odiava tutti ancora prima di arrivare, il corso fu annullato.

Ci lasciò con questa terribile nuvola su una delle canzoni più importanti di Sinatra, ma pur ascoltandola e riascoltandola, testo e traduzioni alla mano, non si trovano tracce di truce imperialismo, al massimo di individualismo. Il brano scalò all’istante le classifiche americane e divenne uno dei cavalli di battaglia di The Voice, che la cantò in tutti i suoi concerti compreso l’ultimo, nel 1995, a ottant’anni, di cui sessantacinque passati sul palcoscenico. Lui sì che lo poteva dire, che aveva fatto tutto a modo suo: «ho amato, ho riso e pianto; ho avuto le mie soddisfazioni, la mia dose di sconfitte. E allora, mentre le lacrime si fermano, trovo tutto molto divertente. A pensare che ho fatto tutto questo; e se posso dirlo, non sotto tono. No, oh non io, l’ho fatto alla mia maniera».

Per quanto molti abbiano visto in My way l’inno del self-made man americano, dell’uomo che si è fatto da sé e che ha vissuto tutta la vita «a modo suo», senza rimpianti, alla fin fine – come tutte le canzoni che si continuano a lungo a cantare e che entrano nella storia – contiene qualcosa che appartiene alla vita di ognuno, qualcosa in cui tutti – o almeno molti – si possano specchiare.