IL NUMERO

33

Sarebbe affascinante scrivere un pezzo sugli anni di Cristo quando morì, sull’appassionante film del 2015, The 33,  di Patricia Riggen, o sui trentini che andarono a Trento, ma in un contesto di attualità come questo, è un altro il significato da attribuire a un numero con così tante alternative di scelta.

Arriva la conferma dalla seconda edizione del Global Teacher Status Index che l’Italia è al 33° posto, su 35 Paesi nel mondo, per quanto riguarda la reputazione sociale degli insegnanti, dalle elementari alle superiori. Ci presentiamo con onore, ovviamente, tra accendini messi davanti al volto dei professori, sfregi per le note, terrorismo psicologico per l’aumento dei voti, anche solo un tono di voce acido che sottolinea una sfrontatezza di certo non legittima. 33° posto, alle spalle solo Israele e Brasile.

Mettendo da parte – con una certa difficoltà – gli episodi di genitori che prendono a sediate o sputano addosso agli insegnanti (rispettivamente gli episodi della docente di storia dell’istituto Floriani di Vimercate e del maestro di Varese, che ha rimproverato una mamma per essere arrivata in ritardo a prendere il figlio), ciò che più preoccupa non è tanto la posizione in classifica o la pessima figura che toglie anche il minimo rispetto, ma gli studenti.

33 sono anche i casi ufficiali di professori vittime di atti di bullismo denunciato: accoltellamenti a Caserta, a Alessandria, una supplente con difficoltà motorie è stata legata alla sedia con il nastro adesivo, minacce di ogni tipo. Uno studente di quelli che si sono resi protagonisti di questi gesti, forse sghignazzerebbe con gli amici, sentendo una notizia così. Invece c’è solo da piangere, da fare un passo indietro, da sospirare e ricominciare da capo. Sulle spalle del maestro, dell’insegnante, del professore, non c’è solo una responsabilità enorme e sentita nei confronti dei ragazzi, ma anche nei confronti del futuro che gli studenti dovranno costruire, grazie alla loro capacità di essere non solo insegnanti, ma guide e punti di riferimento.

«Colui che apre una porta di una scuola, chiude una prigione», diceva Victor Hugo. Ma intanto, in Italia, forti del 33° posto su 35 Paesi, la scuola viene trasformata in una prigione. Non certo per gli insegnanti, che hanno già vissuto la loro vita e fatto le loro scelte, ma per i ragazzi, che al contrario di ciò che a volte pensano, hanno ancora tutto da perdere.