IL NUMERO

3,6

È il compenso medio per consegna, in euro, percepito da uno dei tanti giovani rider che percorrono le città italiane in bicicletta per consegnare il cibo a domicilio. Pizza, sushi, cibo etnico o piatti della tradizione viaggiano nei contenitori termici e arrivano nelle case a tempo di record. I fattorini del terzo millennio infatti lavorano a cottimo, spesso mettendo a repentaglio la propria incolumità per raggiungere più rapidamente la meta, incuranti delle condizioni atmosferiche, senza assicurazioni, assumendosi tutti i rischi compresi quelli della perdita o del danneggiamento dei prodotti trasportati. È la gig economy, l’economia dei lavoretti, bellezza! E tu non puoi farci niente.

Almeno così si direbbe alla luce della sentenza pronunciata nei giorni scorsi dal Tribunale del Lavoro di Torino che ha respinto il ricorso di sei rider al soldo della società tedesca di food delivery Foodora che rivendicavano maggiori tutele normative e un migliore trattamento economico. Secondo la sentenza, i fattorini sono collaboratori autonomi non legati da un rapporto di lavoro subordinato e quindi non hanno nulla da rivendicare.

In attesa delle motivazioni della sentenza, ci si può interrogare su come si sia ridotto il lavoro – quello alla luce del sole, non quello al nero nei campi di pomodori – in questo Paese. Per molti giovani, e anche meno giovani, un lavoro come questo non è un’attività da studenti per racimolare un extra per i propri divertimenti, ma l’attività primaria e spesso l’unica per sbarcare il lunario.

Si pedala molto e si guadagna poco, ma si risparmia sulla palestra. E poi non si inquina. Volete mettere?

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