LA DATA

4 febbraio 1966

Per ben 408 anni, dal 30 dicembre 1558 al 4 febbraio del 1966, la Chiesa ha prodotto e aggiornato l’elenco dei libri e delle pubblicazioni “proibite”, ritenute immorali o non in linea con la dottrina cattolica. L’Indice dei libri proibiti o Index librorum prohibitorum, fu istituito da Papa Paolo IV, durante il Concilio di Trento, ai tempi in cui la Chiesa si serviva dell’Inquisizione per combattere le eresie e le devianze dall’ortodossia religiosa. Da allora è stato pubblicato quaranta volte (l’ultima nel 1948), finché la Congregazione per la dottrina della fede non ne ha disposto la soppressione, che fu annunciata il 13 aprile 1966, dal cardinale Angelo Ottaviani, durante il pontificato di Paolo VI: «l’Indice rimane moralmente impegnativo, in quanto ammonisce la coscienza dei cristiani a guardarsi, per una esigenza che scaturisce dallo stesso diritto naturale, da quegli scritti che possono mettere in pericolo la fede e i costumi; ma in pari tempo avverte che esso non ha più forza di legge ecclesiastica con le annesse censure», recita la comunicazione ufficiale.

Il primo Indice fu pubblicato il 26 febbraio del 1562 e conteneva tanto il De Monarchia di Dante Alighieri, quanto alcuni scritti del Machiavelli, il Decameron di Boccaccio, ritenuti pericolosi per la dottrina cattolica alla pari delle opere di Martin Lutero e Giovanni Calvino. All’indice il celebre Giulio di Erasmo da Rotterdam, uscito anonimo nel 1517, in cui si immagina un dialogo surreale tra San Pietro e Papa Giulio II, morto qualche anno prima.

La potentissima macchina della censura preventiva che vietava pubblicazione, vendita, acquisto, conservazione, traduzione, diffusione e, soprattutto, la lettura dei libri proibiti aveva un unico obiettivo: ostacolare la libera circolazione delle idee e impedire il libero pensiero, quanto di più pericoloso, insieme alla scienza, per minare i fondamenti della dottrina cattolica, così come l’oscurantismo e l’ignoranza contribuivano a mantenere ben saldo il potere della religione sui popoli. Del resto, l’espressione idiomatica “mettere all’indice” che da quell’Index librorum deriva, è rimasta e assai usata ancora oggi con il significato di bollare d’infamia, additare come immorale, vergognoso, isolare, emarginare, allontanare, condannare qualcuno, ma anche proibire qualcosa.

Dai circa quaranta Indici redatti, pubblicati e aggiornati dalla Congregazione, ci sono passati molti, moltissimi autori, alcuni decisamente insospettabili, per i tempi e i contenuti. Ovviamente Galileo, Keplero, Cartesio e Spinoza (fin qui è facile), ma anche le edizioni della Bibbia non in latino, gli scritti di Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II). Tra i libri da mandare al rogo anche l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, mentre nei secoli successivi è toccato a Alexandre Dumas (padre e figlio), Daniel Defoe, Ugo Foscolo, Victor Hugo, Immanuel Kant, Gustave Flaubert, Giacomo Leopardi, Emile Zola.

In tempi più recenti, sono entrati nell’Index Simone de Beauvoir, Jean Paul Sartre, Alberto Moravia e Nikos Kazantzakis con il suo L’ultima tentazione di Cristo. Non risulta, invece, che vi sia mai stato inserito il Mein Kampf di Adolf Hitler.