IL NUMERO

41

41, come 41 bis, comunemente definito “carcere duro”, cui era stato condannato il boss mafioso Bernardo Provenzano, dopo l’arresto avvenuto l’11 aprile 2006 (qui, la storia su TESSERE). Nei giorni scorsi, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso sentenza di condanna contro l’Italia, per aver deciso di continuare ad applicare il regime carcerario duro a “Zu Binnu”, dal 23 marzo 2016 alla sua morte, avvenuta quattro mesi dopo.

Secondo i giudici di Strasburgo, ha scritto l’Ansa lo scorso 25 ottobre, «il ministero della giustizia italiano ha violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Allo stesso tempo ha affermato che la decisione di continuare la detenzione di Provenzano non ha leso i suoi diritti». I legali del boss si erano appellati all’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti», relativamente alle cure mediche, ritenute inadeguate allo stato di salute del loro assistito durante l’ultimo periodo di detenzione, e la continuazione del 41 bis malgrado il progressivo aggravamento.

Provenzano, infatti, morì il 13 luglio 2016 mentre era detenuto al regime di 41 bis nell’ospedale San Paolo di Milano. Malato da tempo, secondo la relazione dei medici era incompatibile con il regime carcerario e necessitava di assistenza in una struttura sanitaria di lungodegenza. Per questo, intorno al suo caso si erano scatenate numerose polemiche rispetto alle condizioni di detenzione.

Viceversa, i provvedimenti del ministero della Giustizia, basati sugli atti della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e della Direzione nazionale antimafia, erano di tutt’altro parere. Come ha dichiarato il sostituto procuratore Nino Di Matteo, ex pubblico ministero del processo “Trattativa Stato-mafia” in cui il boss era imputato: «Provenzano, benché sottoposto al regime del 41 bis, negli ultimi anni è stato pressoché costantemente ricoverato presso strutture ospedaliere civili, fruendo delle cure necessarie approntante da medici specialisti di quelle strutture. Il 41 bis quindi non ha certamente impedito a Provenzano di essere assistito e curato probabilmente meglio di quanto avrebbe potuto essere assistito e curato se fosse stato rimesso in libertà» (“La Repubblica“).