LA DATA

5 gennaio 1895

Il 5 gennaio 1895, l’ufficiale francese Alfred Dreyfuss, alsaziano di origine ebraica, venne degradato e condannato all’ergastolo, quindi confinato sull’Isola del Diavolo, famigerata colonia penale al largo della Guyana, per presunto spionaggio a favore della Germania.

L’Affaire Dreyfus, come è passato alla storia, è unanimemente ritenuto il maggior conflitto sociale della seconda Repubblica, in Francia. Fu un clamoroso errore giudiziario, che divise il Paese per dieci anni, tra chi era convinto, più o meno strumentalmente, della colpevolezza dell’ufficiale e chi, viceversa, della sua innocenza. Tra questi lo scrittore Émile Zola, che nel 1898 pubblicò, sul quotidiano “L’Aurore” il J’accuse, la celeberrima lettera aperta al presidente delle Repubblica, Félix Faur, con la quale denunciava pubblicamente i persecutori di Dreyfus, i nemici della verità e della giustizia, le irregolarità e le illegalità commesse nel corso del processo. Il J’accuse segnò il passaggio del caso alla dimensione pubblica e fece scoppiare lo scandalo, ma costò allo scrittore la condanna, per diffamazione, a un anno di prigione e tremila franchi d’ammenda.

La condanna di Dreyfus era avvenuta, infatti, nell’avvelenato contesto dello spionaggio militare e dell’antisemitismo, diffuso ovunque nell’Europa di fine Ottocento. E la cosa davvero grave non fu l’errore giudiziario in sé, quanto il fatto che una volta emersi i primi dubbi sulla colpevolezza, le alte gerarchie militari decisero di non rivedere il processo. Tutto era iniziato il 15 ottobre dell’1894, con l’accusa di alto tradimento per il capitano francese. Dreyfus era innocente, ma sarebbero dovuti passare diversi anni e due processi, prima che nel 1906, venisse completamente scagionato e reintegrato nell’esercito da cui era stato cacciato con infamia. A discolparlo non servì nemmeno il pronunciamento del capo dell’ufficio informazioni dello stato maggiore, il colonnello Picquart, che provò che il documento con cui era stato incastrato Dreyfus era stato scritto dal maggiore di fanteria Esterhazy, assolto nel 1898 e graziato dal presidente della Repubblica.

Scrivono nel 2016, Silvia Morosi e Paolo Rastelli nell’articolo Affaire Dreyfus, la macchina del sospetto e dell’antisemitismo sul “Corriere della Sera: «La Francia ne è rimasta bruciata per sempre. La destra protestava: ci sono troppi ebrei nell’esercito e nell’amministrazione, si diffondono come un’epidemia. L’antisemitismo è trionfante: Dreyfus confermava le colpe attribuite alla “razza”. Barrès e Maurras inneggiavano all’integrità della nazione francese. L’unica difesa era l’Armée. Così il giudizio del consiglio di guerra, che aveva condannato il capitano, non poteva essere scalfito dalla critica. I cattolici erano come invasati e anche all’estrema sinistra comunarda, nonché tra i socialisti si avvertivano lampi di odio per il capitalismo ebraico. Gli intellettuali, invece, difendevano l’universalità dell’individuo, i diritti dell’uomo, l’innocenza evidente di Dreyfus. Dreyfus resta il simbolo dell’errore giudiziario. È il memento storico per gli intellettuali, la molla che li fa scattare. I suoi sostenitori, però, non gli hanno mai perdonato di aver accettato la grazia presidenziale».