DAILY LA DATA

6 settembre 1791
La rivolta del pane a Fano

Per secoli motivo di rivolta popolare, l'aumento del prezzo della farina molte volte non è nato da carestie, ma dall'ingordigia dei potenti: come a Fano, nel 1791

Il 6 settembre 1791 a Fano scoppiò una rivolta popolare a causa dell’aumento del prezzo della farina e del calo del peso del pane. La cittadina marchigiana era sottoposta alle angherie di nobili non molto illuminati; il governatore ecclesiastico inviato dal governo, generalmente un giovane prelato, poteva assai poco contro il loro potere.

Non era la prima volta che a Fano scoppiava un tumulto per l’aumento del prezzo della farina: nel 1788 si ebbe una sollevazione del popolo contro i nobili perché il gonfaloniere avava fissato il prezzo di 80 libbre di farina a 14-15 paoli; il popolo si sollevò ancora il 17 agosto 1790 ottenendo che il prezzo della farina fosse fissato a 6 scudi il rubbio per tutto l’anno; il 17 agosto 1791 ci fu nuova rivolta per l’aumento dei prezzi della farina di tre paoli al rubbio.

A capo della rivolta del 6 settembre c’erano due calzolai, un canestraio, un sarto e un pescivendolo, oltre ad una donna, “una certa Moretta povera ma audace”. Il moto cominciò con l’assalto e il saccheggio, organizzato da Moretta e da altre donne fanesi, ad un magazzino di grano, di proprietà di due sensali. Intervennero i due calzolai che, chiamati da Moretta, con un gruppo d’altra gente cominciarono a girare per la città alla ricerca dei due sensali “da tutti creduti grassatori della Città”; già inaspriti dalle ingiustizie del governatore, monsignor Deodato Bisleti, i rivoltosi si impossessarono del Baluardo che era senza guarnigione, e puntarono i cannoni contro la città.

Il vescovo della città, monsignor Severoli, incontrò i rivoltosi e ne ottenne la resa, naturalmente in cambio del perdono generale. Il governatore Bisleti fu sostituito dal visitatore apostolico Monsignor Frosini, che scrisse più volte alla Segreteria di Stato sull’opportunità di contenere l’avidità dei nobili, altrimenti diventava difficile controllare il popolo, ahivoglia a Padrenostri.

Giunto a Fano nel momento di maggior disordine, il monsignore eliminò i balzelli che rendevano costosissimo il macinato, tentò di regolare il forno dei poveri e progettò un aumento delle tasse sulla possidenza. Purtroppo le sue innovazioni non piacquero affatto alla Curia, che sosteneva le ragioni dei nobili e non voleva ridurne i privilegi, nonostante il Consiglio cittadino, composto da aristocratici, fosse “prepotente, superbo, ignorante più del credibile, tiranno de’ poveri e – senza allontanarsi dal vero – miscredente ancora”.

Così i rivoltosi, nei mesi successivi, furono in buona parte incarcerati, e alcuni di loro rimasero il prigione oltre due anni.  Si cercò anche un legame fra loro e un ecclesiastico di idee illuministe, monsignor Castracane: forse pareva strano che il popolo si rivoltasse senza istigatori, la fame non sembrava un motivo sufficiente.

La rivolta di Fano ispirò anche Senigallia e San Costanzo, dove scoppiarono alcuni tumulti nei giorni successivi, mentre anche a Pesaro, Torre e Fossombrone il popolo si preparava alla ribellione.