In lingua swahili è stato definito maafa, ovvero disastro, grande tragedia, avvenimento terribile, mentre per gli africani e gli afroamericani è il black holocaust. Del resto è difficile definire altrimenti la morte di oltre 4 milioni di africani a causa della Tratta degli schiavi, il commercio di esseri umani dall’Africa, andato avanti per oltre 300 anni, dal XVI al XIX secolo, finché un accordo tra Stati Uniti e Regno Unito, il 7 giugno 1862 non mise definitivamente fine a questa vergogna dell’umanità.
Si stima tra i 10 e i 12 milioni il numero di africani prelevati con la forza dalla propria terra di origine e trasportati a bordo delle navi negriere, inizialmente verso il Centro America e i Caraibi, poi nelle colonie inglesi del Nord America.
Subito dopo i viaggi di Colombo, infatti, Spagna, Portogallo, Inghilterra e Paesi Bassi, iniziarono a creare insediamenti su vasta scala nel Nuovo Mondo dove venivano avviate imponenti attività economiche che richiedevano manodopera in quantità sempre maggiore. Da usare soprattutto nelle piantagioni e nelle miniere.
Furono gli spagnoli e i portoghesi a capire che gli africani erano più adatti degli indios e dei nativi (che erano stati sottomessi nelle colonie) per resistere al lavoro massacrante cui venivano sottoposti. Cominciarono così ad andare a prelevarli in Africa, per mandarli nelle colonie americane, dando inizio al più grande commercio di schiavi della storia, attraverso l’Oceano Atlantico. Il fenomeno assunse rapidamente proporzioni tali da dare origine nelle Americhe a vere e proprie economie basate sullo schiavismo.
La “merce umana” veniva catturata con metodi brutali da cacciatori senza scrupoli. I prigionieri che non morivano nel percorso a piedi fino al mare venivano caricati sulle navi, dove affrontavano viaggi che potevano durare da uno a sei mesi, in condizioni disumane. I maschi venivano incatenati insieme a coppie per, mentre le donne e i bambini avevano un po’ più di spazio. Molti, ameno il 15% morivano di stenti, malattie e cattiva alimentazione durante la traversata. Frequenti erano anche i suicidi.
La prima potenza coloniale a impegnarsi attivamente per contrastare la tratta degli schiavi fu il Regno Unito nel 1833, con un precedente tentativo della Francia rivoluzionaria, poi revocato da Napoleone. Tant’è che le navi della Marina britannica venivano impiegate anche per individuare e fermare le navi negriere nell’Oceano Indiano e nell’Atlantico. Tuttavia il fenomeno si concluse del tutto sono nel 1865 con l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, da parte del presidente Abramo Lincoln.
Nel 2007, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la “Giornata internazionale per la commemorazione della tratta degli schiavi e della sua abolizione“, da tenersi il 25 marzo di ogni anno.