LA DATA

7 luglio 1881

«C’era una volta….- Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti, per accendere il fuoco e per scaldare le stanze».
Alzi la mano chi non ha letto questo incipit e che non si è divertito a scorrere le avventure del burattino di legno più famoso del mondo.

Era il 7 luglio del 1881 e Carlo Collodi, al secolo Carlo Lorenzini, pubblicava, pare senza neanche troppa convinzione, sul numero 7 di un supplemento settimanale per ragazzi del quotidiano fiorentino Il Fanfulla, la prima puntata di Pinocchio, titolo completo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Le altre furono pubblicate il 14 luglio, il 4 e il 18 agosto, l’8 e il 15 settembre, il 20 e il 27 ottobre.

La prima edizione, in un unico volume, della storia che lo stesso Collodi definì «una bambinata», è del 1883, curata dalla libreria Felice Paggi, con le illustrazioni di Enrico Mazzanti, ingegnere e disegnatore, la cui fama è legata proprio ai disegni che hanno “istoriato” la prima edizione di Pinocchio.

Venti anni dopo, il giudizio decisamente favorevole di Benedetto Croce su questa pietra miliare dei libri per ragazzi, contribuì a inserire la storia del burattino di legno tra i grandi classici della letteratura italiana, il testo più tradotto e venduto della storia della nostra letteratura, diffuso, letto e conosciuto in tutto il mondo.

Pinocchio e le sue avventure hanno ispirato film, sceneggiati televisivi, il più celebre quello di Comencini del 1972, con Nino Manfredi-Geppetto, Gina Lollobrigida-la fata turchina e una memorabile interpretazione di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nei panni del Gatto e la Volpe. La Disney ne ha fatto un cartone animato, ma sono seguite anche numerose serie animate, pièce teatrali, spettacoli di danza, videoclip, musica, concept album, primo tra tutti Burattino senza fili, di Edoardo Bennato. Senza contare una lunghissima serie di saggi dedicati all’analisi del libro, monumenti e parchi tematici.

Purtroppo non è possibile fare un calcolo delle copie vendute, poiché nel 1940 sono decaduti i diritti d’autore, ma si stimano tra le 220 e le 240 traduzioni in altrettante lingue in tutto il globo.

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Il successo di questa opera senza tempo è difficile da spiegare. Ci hanno provato critici letterari e linguisti, sociologi e pedagogisti, persino psicologi non solo dell’età evolutiva, come sarebbe legittimo pensare.

Sicuramente il romanzo aveva un proprio valore pedagogico, inserito nel contesto di allora. Alcuni lo bollano come un’allegoria della società moderna, che strizza l’occhio alla formalità che si imponeva nell’Ottocento, contro il desiderio di libertà da ogni vincolo sociale, la curiosità non libera da rischi, il desiderio di conoscenza non scolastica, ma appresa sul campo a rischio della pelle e della sofferenza dei propri cari. Un’allegoria che non risparmia le critiche ai parrucconi (i medici al capezzale di Pinocchio), al potere costituito (i gendarmi), alla “buona coscienza” (il grillo parlante), che in fondo assolve il bugiardo per antonomasia e lo regala al lettore nel classico lieto fine, che in questo caso non ti aspetti.

Non sono mancate negli anni interpretazioni esoteriche e teologiche, ma oltre ogni tentativo di classificarlo, questo romanzo resta bello e godibile proprio se letto, magari da adulti, abbandonando la tentazione di interpretare i segni e i simboli, affidandosi alla lingua fresca e popolare, infarcita di parole toscane, scorrevole e accattivante, a una storia a lieto fine di cui, ognuno di noi, in fondo sente il bisogno.