IL NUMERO

750

vigneti a Cape Town

È l’“impronta idrica” del vino prodotto nella regione di Cape Town in Sudafrica, ovvero la quantità di litri di acqua che servono per avere una bottiglia da 750 ml, la classica “bordolese”, del prezioso nettare di Bacco. Un’impronta consistente se paragonata a quella di una bottiglia di qualunque bibita gassata zuccherata che si aggira attorno ai 175 litri.

Se ne dà conto nell’articolo Dall’acqua dipendono il nostro futuro e la nostra libertà pubblicato da “Centodieci” nel quale si afferma che «è vero che l’acqua spesso evapora e ha un suo ciclo, ma di solito è difficile che ricada sulla stessa regione che l’ha utilizzata, anzi, rischia di cadere in una zona che, a causa del riscaldamento globale, è soggetta a violente piogge che, a loro volta cadono in vecchie piane alluvionali che sono diventate città, causando disastri».

Il settore agricolo sfrutta tra l’80 e il 90% dell’acqua disponibile, seguito dalla produzione di energia e dall’industria.

L’“impronta idrica” o Water Footprint, ovvero il calcolare quanta acqua sia necessaria per produrre qualcosa – lo smartphone, una mela o appunto una bottiglia di vino – analogamente alla Carbon Footprint, ovvero la quantità di anidride carbonica emessa quando si usa un treno, si compra un giornale o si fa qualunque altra cosa, è un concetto che si è affermato sempre di più in questi anni nella Green Economy.

È proprio la potenziale disponibilità di acqua uno degli argomenti cardine di un ripensamento generale dell’economia legata alla grande distribuzione e al consumo indiscriminato. I cambiamenti climatici causati dall’uomo, l’innalzamento del livello del mare dal quale dipenderanno nei prossimi cento anni migrazioni di massa da tutte le zone costiere che avranno pesantissime ricadute sulla qualità di vita, sull’economia e sui posti di lavoro, i conseguenti problemi di sovrappopolazione delle città sono dunque strettamente connessi al consumo dell’acqua.

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