LA DATA

8 aprile 1985

Il 3 dicembre 1984, a Bhopal, in India, dallo stabilimento chimico della Union Carbide India Limited, fuoriuscirono oltre 40 tonnellate di isocianato di metile, un micidiale composto chimico utilizzato nella produzione di pesticidi. È stato uno dei più grandi disastri ambientali della storia, di cui ancora oggi gli abitanti e l’ambiente intorno alla città pagano le conseguenze.

I carteggi a carico dell’americana Union Carbide Corporation, cui la fabbrica indiana era consociata, furono tuttavia diffusi solo l’8 aprile 1985, mentre i processi penali e civili che coinvolgono la Union Carbide India Limited, i suoi lavoratori, la Union Carbide e l’amministratore delegato in carica quando avvenne il disastro (Warren Anderson, morto nel 2014 di vecchiaia) sono andati avanti fino al 2010.

Solo a giugno di quell’anno il tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo e per grave negligenza nei confronti di otto ex-dirigenti indiani della fabbrica. La richiesta di dieci anni di carcere si era, nel frattempo, ridotta a due, ma tutti i condannati furono rilasciati su cauzione poco dopo il verdetto.

Warren Anderson, che era stato arrestato il 7 dicembre 1984, poté lasciare l’India dietro cauzione (2.100 dollari). La richiesta di estradizione del 2003, per comparire di fronte ad una corte indiana con l’accusa di omicidio, fu negata dagli Stati Uniti per assenza di prove. Nel 2009, la Union Cardibe si sollevò da ogni responsabilità sull’impianto di Bhopal, dichiarando che era gestito solo dalla compagnia indiana.

Tutti colpevoli, nessun vero colpevole: eppure, la nube di gas tossico, uccise in poco tempo circa 2.300 persone, mentre molte migliaia furono contaminate e avvelenate. Il numero delle morti collegate all’intossicazione oscilla tra 4 mila e 15 mila (secondo le stime più recenti), mentre secondo un’inchiesta governativa del 2006, l’intossicazione ha provocato danni a circa 560 mila persone, tra cui tremila donne incinte e 200 mila bambini sotto i 15 anni. Negli anni successivi al disastro, la mortalità infantile è cresciuta del 200%.

L’impianto di Bophal era stato costruito nel 1969, ma la sezione per l’insetticida commercializzato con il nome di Sevin era entrata in funzione solo nel 1980. Due anni dopo, la produzione era già in crisi e almeno il 40% del personale specializzato era stato licenziato. Ormai prossima al fallimento, la Union Cardibe India Limited sospese l’attività nel 1983, lasciando però nei serbatoi interrati 63 tonnellate di isocianato di metile. Pochi mesi prima della chiusura definitiva, avvenuta il 26 ottobre 1984, vennero progressivamente disattivati tutti i sistemi di sicurezza e di manutenzione ordinaria, affidando le verifiche sulle condizioni della struttura a controlli saltuari.

Fu proprio durante uno di questi che l’acqua presente nei serbatoi di raffreddamento finì nelle vasche dell’isocianato di metile, provocando una serie di reazioni a catena che ebbero come conseguenza finale la fuoriuscita del gas dalle valvole e la sua rapida espansione verso le bidonville di Bhopal.

Erano da poco passate le 10 di sera del 2 dicembre 1984, ma la sirena di allarme venne attivata solo alle 2 del mattino seguente. Poche ore dopo erano già morte migliaia di persone.

Oggi, l’area intorno alla centrale è abbandonata e le strutture di produzione chimica sono in lento disfacimento, con il risultato dell’inquinamento del suolo e delle falde acquifere della zona.