LA PAROLA

Abuso

C’è quello fisico, quello verbale e quello psicologico. E c’è quello d’ufficio, quello d’autorità. O ancora quello di droga. Tante sono le facce del termine abuso, tante le sue sfumature, ma, forse, è una la cosa che le accomuna tutte: quando si verifica, muta (talvolta in modo radicale) il corso degli eventi.

L’Enciclopedia Treccani dà dell’abuso, come primo significato, «cattivo uso, uso eccessivo, smodato, illegittimo di una cosa, di un’autorità»; e, dunque, per estensione «atto che faccia uso della forza fisica per recare danno ad altri; violenza».

Si può abusare di cioccolata in una serata in cui una tavoletta alle nocciole sembra essere l’unico rimedio alla tristezza. O del vino, in serate conviviali in cui i brindisi si susseguono tra risate e tintinnii allegri di vetro; delle sigarette, per aspirare e poi fumare via ansia e preoccupazioni.

E poi c’è l’abuso fisico, nel caso in cui qualcuno si arroghi il diritto di poter fare del corpo altrui ciò che vuole. C’è la violenza bieca di chi non può far altro che dare una dimostrazione di forza, in mancanza di intelligenza, a scapito di chi deve subire, perché parlare e ribellarsi a volte fa più male del dolore fisico.

L’abuso non lascia le cose come prima, cambia le persone, la loro scorza, il loro modo di rapportarsi agli altri. Penso  a chi subisce un abuso psicologico o verbale, con parole ficcate in testa come chiodi che martellano il cervello fino a convincerlo che siano vere, che siano giuste. Perché un sopruso, una violenza non sono solo quelle fisiche, quelle che lasciano un segno visibile: le parole sanno ferire tanto quanto la spada e lasciano ferite indelebili e nascoste agli occhi dei più. E, soprattutto nel caso dell’abuso fisico, per uno strano scherzo del destino, è soprattutto chi l’ha subìto che poi deve sopportare anche le parole, affidate al vento e taglienti come una lama.

Vi è anche l’abuso d’ufficio, d’autorità, di potere: il credere che per una qualche presunta superiorità si possa disporre di risorse che gli altri non hanno. O imporre agli altri il proprio pensiero in virtù di non si sa quale investitura. Anche in questo caso, vi è chi subisce e chi fa subire, chi attende che la tempesta passi e chi la affronta. E non è che i primi sono più codardi dei secondi, la forza di reagire a un abuso deve essere tanta e non tutti ce l’hanno, ma non per questo gliene si può fare una colpa. Imparare a rispettare gli altri, a mettersi nei loro panni, a pensare bene prima di giudicare. E poi non farlo comunque, perché solo chi ha passato certi abusi sa cosa vogliono dire e quali conseguenze e strascichi dolorosi portino con sé.

Tags