LA PAROLA

Accattigghiànnu

Voce del verbo siciliano Accattigghiàri. Per un emigrato da Linguaglossa (Catania) che vive da più di quarant’anni a Scandicci, vicino a Firenze, ci voleva il direttore di TESSERE a “solleticare” questa parola trovata in un libro di poesie di mio fratello Senzio Pizzini d’ammuri e giacente nel mio archivio mentale e per gli stessi anni mai pronunciata, sostituita in qualche circostanza con la meno arcaica zziddicàri. Gliene sono grato.

Accattigghiànnu” era antico detto nei territori dell’Etna Nord, si traduce nell’italiano “solleticando”. Deriva da cattìgghiu, “solletico” e affiorano ricordi della fanciullezza. Era il “Cattìgghiu” un divertente gioco tra ragazzi, senza “tablet” (scrivere tavoletta si fa peccato) e “cellulari-dipendenti” che spesso coinvolgeva a partecipare anche gli adulti nelle afose serate estive per le strade del paese; una sfida a resistere al “solletico”, attuato sul corpo del giocatore in vari modi, ma con regole precise: non ridere, non chiudere gli occhi, non muoversi etc. per non pagare pegno. Non era facile superare la prova specie quando, a “solleticare” il malcapitato, entrava in scena Sua Maestà la spiga di grano. Non ho mai vinto.

In altre zone della Sicilia sicuramente esistono parole con lo stesso significato, scritte e pronunciate diversamente, ma sempre con la caratteristica inflessione dialettale, per non dire “musicalità” che li distingue. Da giovane sentivo relazionare e discutere insigni studiosi, in qualche convegno, sulla necessità di una “Koinè” siciliana per un arricchimento culturale dell’Isola. A tutt’oggi niente è stato fatto e, secondo me, meglio così.

Penso che in ogni provincia, città o paese, e non solo nella mia terra d’origine, ma nel mondo, è importante valorizzare, tra le altre cose, le parole con suoni ed accenti da secoli tramandati. “Solleticare”, anche se di rado, la loro esistenza per fare/farci ridere o piangere, incuriosire, giocare, magari sfiorando, senza la spiga di grano ma con le dita tremolanti di nonno, la pianta del piede 26 di Amina, italo/senegalese di soli tre anni e tra una sghignazzata e l’altra balbettare cantilenando: «T’aaaa-ccaaa-ttììììì-gghiu! Tiiii zzi-zzi-zziiiiiiii-ddìcu! Ti zziddìcu-t’accattìgghiu-ti zziddìcu» per impazzire entrambi di felicità.

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