ATTUALITÀ IL PERSONAGGIO

Addio Ibio Paolucci, giornalista “Quando l’Unità era un grande giornale”

Ibio Paolucci, storico giornalista dell’Unità, autore di saggi e traduttore per Einaudi dei Diari di David Rubinovic, è morto ieri all’età di 91 anni, pochi giorni dopo la scomparsa della sua amata moglie Gabriella.

Nato a Buriano, presso Castiglione della Pescaia, nel 1926, Paolucci fu arrestato nel grande rastrellamento del porto di Genova-Sestri il 16 giugno 1944 e deportato, lui, studente lavoratore diciottenne, insieme ad un migliaio di operai dell’Ansaldo, in un campo di lavoro di feroci collaborazionisti, in Polonia, liberato poi nel gennaio del ’45 dall’Armata Rossa.

Al suo ritorno in Italia, Paolucci iniziò a Genova la sua carriera giornalistica all’Unità, giornale del quale divenne redattore della pagina culturale, poi inviato a Varsavia e successivamente inviato speciale in Belgio e in Germania, da dove raccontò il mondo dell’emigrazione operaia. Dal ’69 fu inviato giudiziario, occupandosi delle stragi che sconvolsero il nostro Paese, da Piazza Fontana a Bologna.

Tra i suoi libri ricordiamo Il processo infame. Da piazza Fontana a Catanzaro, una storia che ha sconvolto l’Italia, Un eroe dimenticato, Calogero Marrone scritto con Franco Giannantoni, Giovanni Pesce “Visone”, un comunista che ha fatto l’Italia, e Quando l’Unità era un grande giornale, del quale ha detto:

«Potrebbe apparire a prima vista una provocazione ma le mie intenzioni, un paio di anni fa, quando ho cominciato a scrivere il libro, erano altre. Volevo lasciare la testimonianza di un giornalista che per quasi mezzo secolo aveva vissuto in quel giornale. Non credo comunque che i responsabili della nuova Unità possano adombrarsi. Anche loro dovrebbero essere ben consci della distanza siderale fra le due testate. Voglio dire lo spessore, la forza ideale, le idee, i progetti, lo stile. E poi gli uomini. Certo che vedere ancora la scritta che ricorda Antonio Gramsci e la data della fondazione, il 1924, fa un po’ impressione!».

Molto attivo nell’opera della testimonianza, collaboratore della Fondazione Memoria della Deportazione di Milano e direttore di Triangolo Rosso, lo storico periodico dei deportati politici nei campi di sterminio nazisti, come lui stesso ha dichiarato: «Ci tenevo a raccogliere i brandelli della mia memoria prima che se ne andasse e credo dì aver detto tutto il necessario».

Con rigore ed incisività scrisse degli eventi degli anni di piombo, dal caso Pinelli alle Brigate Rosse, dalla Brigata 28 marzo di Marco Barbone agli accoliti di Toni Negri, appartenenti al gruppo del 7 aprile, fino ai neofascisti che agirono a Brescia e alla stazione di Bologna.

Non fu esente da minacce ed avvertimenti. Il giornale di Mino Pecorelli, O.P., lo mise addirittura in copertina, indicandolo come doppiogiochista e uomo-chiave del PCI all’interno delle Procure, grazie al suo lavoro di corrispondente giudiziario. Una sera, sul portone di casa, trovò un simbolico cadeau: 134 grammi di piombo, che equivalgono ad un intero caricatore, recapitatigli dalla Brigata 28 marzo.

Ma, fortunatamente, Ibio Paolucci sfuggì agli atti violenti che in quegli anni subirono molti giornalisti, grazie alla scorta e, ci piace pensare, al suo spirito indomito, che gli fece rispondere a coraggiosamente e non senza un certo humor, al brigatista Franceschini, il quale, dal gabbione delle Assise, a Torino, gli gridò «Paolucci, quando usciremo da qui ti manderemo a lavorare in Germania!» con un secco ed altrettanto tonante «Già fatto!», facendo rimanere di stucco il suddetto br e i suoi compagni, tra cui Renato Curcio.