IDEE VISIONI

Balanzone e la carta del rispetto

Un Paese riflette ciò che in quel momento storico la società intera esprime. A ciò penso mentre già in tutta fretta si è spenta l’eco della manifestazione contro il degrado di Roma, che ha portato in piazza spontaneamente migliaia di persone, un oceano in questi tempi tristi. Il sindaco Virginia Raggi, anziché rivolgere lo sguardo verso l’incuria e le rovine urbane che offendono un luogo cui spetta di rappresentare la cultura dell’umanità intera, liquida quell’evento come una trovata del Pd per cercare consensi.

Mala tempora dunque? Sì, ma la parola cultura, a dispetto del sovrano disprezzo di cui ora è ammantata, continua a restare la bellissima cornice di un mosaico virtuale. I tasselli, e tanti, ci sono, ma chi li ordina in un qualsivoglia disegno etico e di bellezza? Se prima non ci si interroga, le parole restano senza corpo e radici, come dicevano un tempo i poeti.

Cultura è una parola che pare uscita dal linguaggio. Ne parla e scrive sempre meno anche chi sarebbe per sua scelta preposto a guidare le nostre menti e insieme quelle di un grande Paese malato, che ha perso identità, si è indebolito. Virginia Raggi non è sola e ha ben altri maestri.

Come ritrovare allora tale identità, se non chiamando al capezzale il grande medico chiamato cultura? Che cosa si può attendere una comunità sedotta per decenni dal dio denaro? Immagino che quel dio (uso scientemente la minuscola) ora sghignazzi sopra di noi. Ci ha portato su strade senza sbocco con le sue magiche parole: cose al posto di gesti; successo al posto di coscienza di aver svolto bene un compito al quale siamo stati chiamati; potere in luogo della forte responsabilità che deriva dal compito di guidare gli altri; il tutto dovuto e non il poco conquistato con fatica e sacrificio che si somma e diventa dentro di noi un tutto per sempre.

Fermarsi e attendere che la bufera passi, come pure pretendono menti volte al bene, è illusorio. Occorre piuttosto riprendere il cammino, poco importa se ora la folla procede in direzione contraria.

Da dove riprendere? Il nuovo cammino può ripartire da un’altra parola antica e ormai desueta: rispetto. Dell’altro, chiunque sia, vissuto non strumentalmente, ma nei suoi bisogni profondi, nelle sue necessità primarie che si chiamano cibo, casa, lavoro. Lo so, non è facile dopo decenni vissuti nell’orgia di un presunto e inarrestabile progresso. Ma la cultura è proprio questo: insegnare ai giovani che la felicità sta altrove e la si raggiunge in tappe diverse.

Un Paese o una città, di nuovo volgo il pensiero alla manifestazione romana,  riprende identità e cultura quando la polis è ognuno di noi.

Nella gioventù dei miei padri c’era il dottor Balanzone del “Corriere dei Piccoli” (chi era costui?) che parlava, parlava, parlava in un linguaggio strampalato e diceva cose a vanvera. Oggi siamo nell’era dei Balanzone di massa. Tutto è possibile, tutto è fungibile. L’improvvisazione è al potere e dire cose a vanvera è motivo di successo. Poco importa se vere o false.

Invece la cultura è far luce sulle zone dell’impossibile, come ci ha insegnato Strehler (scrivendo da Milano cito un gran milanese) dove vivono migliaia di persone che non sanno proprio che cosa sia e a che cosa serva la cultura, che calpestano ogni giorno strade e giardini senza sapere che là sotto giace la vita dei millenni passati e così sarà per noi e i millenni futuri.

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