LA PAROLA

Belluria

Non si pronuncia più e, anzi, pochi ormai ne conoscono il significato, ma si pratica in abbondanza, addirittura con frequenza quotidiana.

Belluria è termine che popola ancora i principali dizionari della lingua di Dante ma, ahimè, solo i vecchi la usano e di solito appropriatamente preceduta dalla preposizione “per”. Quante azioni, attività, manifestazioni pubbliche davvero si limitano alla forma, trascurando la sostanza, ovvero, come dicono i nostri nonni, «si fanno “per belluria”».

«Bellezza più apparente che reale» la definiscono alla Treccani. Con ovvie implicazioni: che vanno dal ridicolo, mai avvertito da chi la belluria di fatto ostenta, al truffaldino degli affari e delle promesse quando la belluria nasconde l’inganno nei confronti della controparte o in generale del prossimo.

La società dell’immagine spesso presenta splendide vetrine di negozi vuoti, dando così gioventù ad una parola che di per sé sembrerebbe antica. Di fatto un vero abuso che ha maggiore rispondenza nei fatti che non nelle conversazioni e nelle valutazioni.

Le campagne elettorali ne sono la dimostrazione più eloquente. In quei periodi la belluria vive nascosta per giorni vestendo i panni dell’incredibile per poi spesso morire nel giorno in cui le urne vengono riposte in cantina. Chiusa la porta e spenta la luce senza la quale mai ci può essere belluria.

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