LA PAROLA

BeneComune

Non facile accedere ad una specifica definizione, considerato che il termine Bene Comune coinvolge molteplici campi ed è riferibile a diversi concetti.

Due parole: bene e comune.
Bene, complesso delle cose desiderate che vorremmo augurare a noi e alle persone cui siamo legati.
Comune, dal latino «cum munus» che vuol dire compito fatto insieme, adempiuto insieme.
Quindi, l’insieme delle condizioni di vita di una società, che favoriscono il benessere, il progresso umano di tutti i cittadini. Nell’ambito di questa definizione, si può affermare che bene comune è la democrazia, bene comune sono tutte quelle condizioni che promuovono il progresso culturale, spirituale, morale, economico di tutti, nessuno escluso.

Adesso, a questa definizione affianchiamo quella di Bene Comune intesa come Risorse Comuni. In questo ambito, si possono distinguere tre categorie di beni comuni:

-Una prima categoria comprende l’acqua, la terra, le foreste e la pesca, equivale a dire i beni di sussistenza da cui dipende la vita, in particolare quella degli agricoltori, dei pescatori e dei nativi che vivono grazie alle risorse naturali. A questa categoria di beni comuni appartengono anche: i saperi e i semi selezionati nei secoli dalle popolazioni locali, il patrimonio genetico dell’uomo e di tutte le specie vegetali e animali, la biodiversità. Per beni comuni non s’intendono solo le risorse naturali in quanto tali, ma anche i diritti collettivi d’uso, da parte di una determinata comunità, a godere dei frutti di quella data risorsa, diritti denominati “usi civici”. Ciò che contraddistingue sia i beni comuni sia gli usi civici è la particolare forma di proprietà e di gestione degli stessi, forma comunitaria e pertanto né pubblica né privata. Contrariamente a quanto si crede, gli usi civici e le terre collettive esistono ancora e sono importanti anche nei paesi industrializzati: in Italia, ad esempio, usi civici e terre collettive ricoprono ancora 1/6 del territorio nazionale;

-Una seconda categoria comprende i beni comuni globali: l’atmosfera, il clima, gli oceani, la sicurezza alimentare, la pace, ma anche la conoscenza, i brevetti e Internet, cioè tutti quei beni che sono frutto della creazione collettiva. Questi beni solo recentemente sono stati percepiti come beni comuni globali, dal momento cioè in cui sono sempre più invasi ed espropriati, ridotti a merce, recintati o inquinati, e il loro l’accesso è sempre più minacciato;

-Una terza categoria è quella dei servizi pubblici forniti dai Governi in risposta ai bisogni essenziali dei cittadini, bisogni che ovviamente variano nel tempo. Si tratta di servizi quali l’erogazione dell’acqua e della luce, il sistema dei trasporti, la sanità, la sicurezza alimentare e sociale, l’amministrazione della giustizia. I processi di privatizzazione di alcuni servizi che distribuiscono i beni comuni ne mettono a rischio l’accesso universale.

Queste due definizioni danno già il senso di quanto sia importante e prezioso questo “bene comune” e di quanto sia, oggi più che mai, importante vegliare su di esso. Istituzioni, famiglia, scuola, tutte le realtà sociali, ovvero, ciascuno di noi e noi tutti insieme siamo responsabili.

Ma approfondiamo gli elementi a nostra disposizione. Il Concilio Vaticano II ha definito il bene comune come «l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni, il conseguimento più pieno della loro perfezione» (Gaudium et spes 74). Negli intenti di questa definizione si legge l’importanza della relazione, a cui la società deve sempre tendere e convertirsi, che permette ad una moltitudine di diventare una comunità di vita, capace di integrare ognuno dei suoi membri – a cominciare dai più deboli – secondo Giustizia. Senza giustizia è impossibile perseguire il bene comune e quindi una società ordinata e vivibile. Per questo, possiamo dire a ragione che il fine della politica dovrebbe essere la giustizia.

Per definizione, la politica ha come scopo il perseguimento del “bene comune”. Il bene comune, una volta individuato nei suoi elementi essenziali, deve poi essere tradotto e sviluppato all’interno di ogni aspetto della vita sociale e dell’ordinamento dello Stato, secondo un dinamismo ancorato da una parte ai principi fondamentali del bene stesso, e dall’altra alle peculiarità dei diversi ambiti.

Nel febbraio 2008, la Commissione Ministeriale presieduta da Stefano Rodotà consegna al ministro della Giustizia una proposta fortemente innovativa che riforma la disciplina codicistica dei beni pubblici, mai modificata dal 1942.

Ma cos’è un “bene comune” secondo Stefano Rodotà?  Il giurista spiega che ci sono beni che non coincidono né con la proprietà privata, né con la proprietà dello Stato, ma esprimono dei diritti inalienabili dei cittadini. Questi sono i “beni comuni”: dal diritto alla vita al bene primario dell’acqua, fino alla conoscenza in rete. Tutti ne possono godere e nessuno può escludere gli altri dalla possibilità di goderne. La conoscenza in rete, su cui Rodotà si sofferma in quanto uno dei beni comuni di ultima generazione, è un bene che implica la condivisione e la partecipazione attiva nella produzione di conoscenza. Ciò implica che non può essere privatizzato né sottoposto a restrizioni. Il punto di incidenza dei diritti fondamentali – e quindi il naturale destinatario dei beni comuni – non è più il soggetto ma la “persona”, un termine che l’attuale giurisprudenza va recuperando in quanto meno astratto e più concreto. E’ proprio sulla persona, inoltre, che ruotano le biotecnologie, nuove sfide della contemporaneità che generano altri diritti, altri beni e altre problematiche.

Per naturale associazione, ricordiamo che l’Articolo 118 della Costituzione così recita:

«Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

Sulla base di questo articolo della Costituzione molti Comuni italiani hanno istituito lo strumento dei Patti di collaborazione che possono essere firmati da singoli, gruppi di cittadini o comitati con l’Amministrazione in modo paritario per il perseguimento del bene comune che può essere la cura di un giardino o la ristrutturazione di un edificio per uso pubblico oppure per beni immateriali come la salvaguardia di una tradizione culturale o di un rione.

Significativo è anche l’affacciarsi di un modello economico alternativo che ha come obiettivo la conciliazione tra il profitto delle aziende coniugato ad una condotta che contribuisca al bene della collettività e fondato su valori che promuovono il bene comune. Ne è un esempio l’idea di cinquanta imprenditori austriaci guidati dall’economista austriaco Christian Felber. I cinquanta imprenditori austriaci hanno creato la matrice dell’Economia del Bene Comune, un semplice schemino con diciassette domande alle quali l’imprenditore può rispondere ed alla fine il punteggio numerico ottenuto dà la fotografia di quanto l’azienda sia socialmente corretta, ecologica, sostenibile e in armonia con tutti i diritti del Pianeta.

La matrice è la porta per la compilazione del Bilancio dell’Economia del Bene Comune, redatto dall’impresa stessa e i cui risultati vengono poi verificati da un audit. Nella compilazione l’azienda può decidere anche di essere sostenuta dalla figura del Consulente del Bene Comune, specializzato nell’aiutare le aziende a compilare correttamente il bilancio. In conclusione di questo breve excursus si invita a leggere l’interessante approfondimento apparso su “MicroMega” a firma di Guido Viale “I beni comuni non sono il bene comune”.

“LIBERTÀ È… PARTECIPAZIONE”