DAILY LA PAROLA

Birichino

Birichino, un termine gioioso e giocoso legato all’infanzia e alla fanciullezza, alla spensieratezza e alla gioia di vivere

L’etimologia della parola birichino è incerta e discussa. Secondo alcune fonti, il termine, era usato in passato per indicare i malviventi. In seguito è diventato di uso comune per definire indicare un bambino discolo, una birba. In uso nella Bologna del XVIII secolo indicava il popolino e gli affiliati alle gang che funestavano la città. In particolar modo si indicano i bambini di strada, come per analogia i lazzaroni o gli sgugnizzi a Napoli.

Con ogni probabilità è un vocabolo derivante da biricone, molto simile a briccone, ossia un bambino o un ragazzino impertinente, disobbediente, irrequieto e vivace che fa marachelle; secondo altre fonti, deriverebbe da buricco, ossia saltimbanco. Il termine è poi entrato nel lessico italiano come sinonimo di monello. L’uso più celebre di questo termine è quello di Vittorio Emanuele, che tacciò Cavour di essere un birichin nel corso di un litigio furioso tra i due dopo l’armistizio di Villafranca.

Le parole viaggiano nel tempo e nello spazio, racchiudono segreti, trasportano nella loro vita errabonda incontri, amori, furti e assalti. Sono tracce, segnali indistruttibili che percorrono epoche e paesi. In una parola è racchiuso uno straordinario viaggio nel tempo e anche in birichino si ritrova la bellezza e la grandezza della lingua italiana, punto d’incontro di diverse culture.

Alberto Nocentini propone una derivazione curiosa, a partire da barachin, nome proprio di un diavolo, diffuso nel nord Italia. Tale ricostruzione sarebbe in linea con il cifariello napoletano, derivato da Lucifero e col monello, che deriva da demonello, con il medesimo significato.

Scrive il Carducci in Davanti San Guido: «E so legger di greco e di latino,/ E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù:/ Non son più, cipressetti, un birichino,/ E sassi in specie non ne tiro piú.» Ma possiamo anche pensare a quel birichino del nipote che ci nasconde gli occhiali, al birichino che al parco bussa sul giornale aperto, al ragazzino che passando suona i campanelli e fugge via di corsa. In ogni caso si fa menzione a ingenui scherzi o marachelle di poco conto, che possono essere paragonate ad uno scherzo, a un dispettuccio forse fastidioso, ma di poco conto a cui si guarda con occhio benevolo alla fanciullezza e alla spensieratezza.

Più stuzzicante è il birichino quale aggettivo: qui diventa il malizioso, l’allusivo, l’ammiccante. Può essere birichino lo sguardo del corteggiatore espansivo e sicuro di sé, birichina la battuta che punge sul vivo, l’espressione birichina sul volto dell’amico fa capire che sa qualcosa che non dovrebbe sapere. La luce, la vivacità dello sguardo, l’espressione del volto, indicatori di un atteggiamento e di una comunicazione che ammicca ma non dice; che non esprime con le parole ma lascia intendere.

Talvolta il termine, nel linguaggio comune è legato all’astuzia, alla capacità di volgere a proprio vantaggio situazioni sfavorevoli, a un comportamento ispirato a scaltrezza. Nonostante ciò, resta il fatto che birichino viene considerato un termine gioioso e giocoso legato all’infanzia e alla fanciullezza, come si può notare nella filastrocca di Arlecchino: «Con un saltello e un inchino eccomi a voi: sono Arlecchino…So far scherzetti, son birichino, rido alla vita come un bambino. Saluto tutti anche a distanza con un leggero passo di danza»

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