DAILY LA PAROLA

Bòta

Bòta in veneziano sta per "botta" o "colpo", ma è la parola magica per molte situazioni, apparentemente antitetiche

La parola è quanto di più versatile il dialetto veneziano preveda. Bòta si usa in mille occasioni; va bene per la carità, la condivisione, l’atteggiamento stoico. Vale una pacca sulla spalla, una carezza, un gesto coraggioso. Attenzione, però, è una questione d’accento: si sta ragionando di un termine con la ò (“o” aperta), perché altrimenti si può sbagliare mira, almeno in apparenza. Il significato più semplice è intuitivo, molto vicino all’italiano: bòta vuol dire banalmente “botta”, “colpo”. L’uso, tuttavia, è diversificato, oltre ogni immaginazione. L’espressione classica, filosoficamente corretta, del sentire lagunare è il tegnìr bòta. Un mondo a parte: se l’acqua alta arriva alla cintola, una Grande Nave sperona la banchina; se ti vendono sotto al naso il Teatro Anatomico della Vida e trasformano l’Orto Botanico in campi da tennis extra lusso, il veneziano medio – ormai roso dall’ansia, divorato dal desiderio di rivincita – possiede solo due opzioni: emigrare al di là dal Ponte (da Mestre al Tibet, secondo i gusti) oppure tegnìr bòta, ossia resistere. Tien bòta vecio! si sente risuonare di bàcaro in bàcaro, quando le gambe malferme per l’ebbrezza si rifiutano di riportare gli avventori a casa; tien bòta, se la situazione abitativa è insidiata dagli affitti turistici, l’amore è infelice, il lavoro manca. Da sempre, del resto, i veneziani tengono bòta e lo fanno con una grazia particolare, come se stessero vogando in un canale trafficato. Spingi e para, in equilibrio su un mondo che cambia, e non sempre in meglio.

La parola bòta, usata così, possiede anche una valenza apotropaica, perché le bòte, le percosse, hanno uno spazio importantissimo nell’idioma della Serenissima: bòte de quele! «certe botte, che te le ricordi fin che vivi!»; le bòte no le piase gnanca ai peòci, «neppure i pidocchi sopportano di essere picchiati» (detto molto utilizzato nei tribunali, per i difensori delle cause perse, con una sottile sfumatura ironico-populista). No ciapàr bòta, invece, è l’elegante soluzione degli spiriti nobili, e sta per “non offendersi”, “non prendersela”, anche sovrapponibile a far finta de pomi, di cui TESSERE si è già occupata. Ancora: andar a bòta salda vuol dire muoversi con sicurezza, a colpo sicuro, appunto, e velocemente.

Di più: bòtabotonàda – a Venezia “l’attaccar bottoni” – significa parlare (o sparlare) a ruota libera di qualcuno o qualcosa, per lo più all’aperto: in calle, la bòta è divenuta il soggetto di molte tele, per lo più ottocentesche. Se poi si vuol rispondere alle maldicenze, pan per focaccia, se rende bòta par zocolàda. Infine, aver una gran bòta descrive quelle persone un po’ boriose che si sentono padrone del mondo. Però, basta poco: se si cambia la ò aperta di bòta in una ó stretta, la prospettiva muta. Bóta starebbe allora  per “botte”, dando ad alcuni l’opportunità di spiegare il termine tien bóta con “tieni le botti”, ossia “legale bene con le funi in barca, per non farle cadere in acqua”. Il risultato logico, sotto sotto, non muta: se tieni le botti in barca, resisti. Basta che la morosa o la moglie non siano bóte candiòte: quasi un’improperio, sta per donne piccole, tarchiate e pettegole; larghe come le botti del vin di Candia, ma non altrettanto piacevoli.