LA PAROLA

Cadavere squisito

Il Cadavere squisito (noto anche come Cadaveri eccellenti) nasce da due storie parallele che si incontreranno nel 1925 a Parigi…

– Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, André Breton si è appena iscritto alla facoltà di medicina. Due giorni prima del suo diciannovesimo compleanno, il 17 febbraio 1915, viene assegnato al 17° reggimento d’artiglieria, in una caserma della Bretagna che ricorderà come «una cloaca di sangue, di stupidità e fango». Diventato infermiere, a luglio del 1916 ottiene un incarico presso il Centro Neuropsichiatrico di Saint-Dizier.

«Il mio compito era esaminare i trasferiti dal fronte per problemi mentali, nonché parlare coi destinati alla corte marziale per valutarne la capacità di intendere e di volere. Lungi dall’usare le loro parole per aggiungere peso a un piatto della bilancia, presto mi appassionai agli apparenti sproloqui, alle visioni e ai sogni. Là ho potuto sperimentare le tecniche della psicanalisi, in particolare la trascrizione dei sogni e dei pensieri senza controllo. Questi sogni, queste associazioni, costituiranno, all’inizio, quasi tutto il materiale surrealista».

Breton è molto affascinato dall’inconscio e per farlo affiorare ricorre anche al metodo della Scrittura Automatica, inoltre ama molto il gioco perché «è un’attività libera e improduttiva, quindi sovversiva, perché segna il trionfo del piacere sulla realtà». Breton scrive il primo Manifesto surrealista nel 1924, definendo così il surrealismo:

«Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale».

Il gioco, in particolare quello con le parole, è per i surrealisti il veicolo elettivo di una rivelazione intesa come punto supremo dello spirito in cui il comunicabile e l’incomunicabile, il reale e l’immaginario cessano di opporsi, strumento della volontà di decifrare il mondo. André Breton non ama la parola “invenzione”, preferisce parlare invece di “rivelazione”: il gioco di parole rivela significati nascosti, nel senso che risveglia, suscita, rianima significati che abbiamo represso, taciuto. Solo considerando la parola in sé e studiando molto da vicino le reazioni delle parole le une sulle altre, afferma ancora Breton, si può sperare di ridare al linguaggio la sua piena destinazione e con ciò far compiere un passo in avanti alla conoscenza e esaltare in pari misura la vita.

«Il surrealismo tende al recupero della nostra forza psichica con un mezzo che non è altro che una discesa vertiginosa in noi stessi, l’illuminazione sistematica dei luoghi nascosti…la deambulazione perpetua in piena zona interdetta…il dettato dell’inconscio nella letteratura». (Breton)

Nel 1920 Jacques Prévert viene richiamato alla leva dove conosce il pittore Yves Tanguy ma dopo poco, vengono assegnati a reparti diversi così Prévert si troverà con le truppe di occupazione ad Istanbul e l’altro in Tunisia. Ad Istanbul, Prevert farà amicizia con Marcel Duhamel futuro curatore e traduttore di libri nonché editore. Tornato a Parigi ritroverà Tanguy con cui rafforza l’amicizia e insieme a Duhamel ed altri costituiranno un gruppo affiatato di amici, tra le quali le future mogli di Prévert e Tanguy, che dal 1923 passeranno le loro vacanze insieme dalla madre di Tanguy, in Bretannia. Il gruppo è talmente affiatato che Duhamel decide di trovare casa per tutti loro. Andranno a vivere tutti insieme in Rue de Chateau 54 passando le loro giornate tra creatività, divertimento e anticonformismo. L’appartamento diverrà il luogo d’incontro di molti artisti dell’epoca. Era un laboratorio, un falansterio, una casa aperta a tutti i venti, artisti e ai gatti … Giacometti, Desnos, Breton, Queneau, Benjamin Peret, Aragon, Man Ray, Tristan Tzara, Joan Mirò, Henry Miller, Frida Kahlo, Paul Eluard e molti altri.

Ed eccoci nel 1925. È nei bistrot di Montmartre che gli abitanti di Rue de Chateau incontrano i surrealisti e li invitano a casa loro, inizia così una frequentazione molto assidua sia che al caffè le Cyrano che a casa di Breton. Inizia l’abitudine a incontrarsi ogni sera: si beve del vino, si chiacchera, si commentano i fatti del giorno, si progettano interventi culturali e poi esauriti i temi si tirano fuori carta e penna e ci si mette a giocare. Una sera in cui la noia aleggiava qualcuno dice: «e se giocassimo ai foglietti! (petit papier) È divertente!» così iniziarono a giocare ai foglietti secondo le regole tradizionali ma non durò a lungo e il gioco si allargò rapidamente «basta metterci una cosa qualunque» disse Prévert e al giro successivo, il Cadavere squisito era nato! Fu Prévert a scrivere «berrà il vino» e un’altro «nuovo» ed uscì «le cadavre exquis boira le vin nouveau» («Il cadavere eccellente berrà il vino nuovo») lanciando così l’immaginazione dei presenti che non riuscirono più a fermarsi. Breton esultò vedendo nel gioco una di quelle sorgenti nascoste che tanto amava scoprire, o meglio, rivelare. Ancor più che con la scrittura automatica si era sicuri di ottenere un miscuglio stupefacente di violenta sorpresa e il riso stimolava un desiderio di nuove immagini, immagini impensabili per un solo cervello, nate dall’amalgarsi involontario, incosciente, imprevedibile di un gruppo di intelligenze eterogene.

Il Cadavre Exquis e sue evoluzioni

Ci si siede intorno ad un tavolo, si prende un foglio e il primo scrive di nascosto un nome, piega la pagina per non farla leggere agli altri e la passa al vicino. Questi aggiunge un aggettivo, piega il foglio, lo passa e così via con un verbo, un’altro nome e un’altro aggettivo. Alla fine si srotola il foglio e si legge il risultato: “La Bambina anemica fa arrossire i manichini lucidati”. Si può giocare anche con più fogli e strutture più complesse per ottenere risultati ancora più surreali “La ghigliottina profondamente egoista e diurna piangerà la bottiglia reale ma corretta” oppure “la luce totalmente nera depone giorno e notte la sospensione impotente a fare del bene”

Tutti noi siamo stati, da ragazzi, ignari surrealisti scrivendo su un foglio e passandoselo, prima chi è lui, poi chi è lei, dove sono, cosa fanno, cosa dice lui, cosa dice lei, cosa dice la gente. In Francia questo gioco si chiama “petit papier”.

Il metodo del Cadavre Exquis fu adattato anche al disegno piegando o coprendo il foglio nelle parti già compilate. Il gioco si inserisce nell’ambito dell’automatismo surrealista e della casuale associazione degli elementi, nella quale tuttavia sembra manifestarsi una sotterranea comunicazione fra i partecipanti.

Il gioco prende vita dunque in un contesto surrealista, l’automatismo e la casuale associazione di elementi sono i principi alla base di questo tipo di azione. In quanto gioco, quello che i surrealisti ricercavano da esso era il divertimento. Il caricare queste immagini, queste frasi create, di una nuova forza, a detta degli stessi, fu un elemento che arrivò dopo.

Il vero interesse che suscitano i Cadaveri Eccellenti risiede nel fatto che queste immagini bizzarre, assemblate, in qualche modo ci parlano.

Ci sono poi altre varianti fatte con i testi. Nel marzo 1928, viene presentato sulla rivista Révolution Surrealiste il dialogo in due passaggi: una domanda viene scritta nella piega del foglio e qualcun’altro risponde senza averla letta «che cos’è la ragione? Una nuvola mangiata dalla Luna». Nel gioco dei Condizionali pubblicato in Belgio su Varietée nel 1929, il giocatore scrive una frase che inizia con «se» e il successivo aggiunge una conclusione: «se la rivoluzione scoppiasse domani, essere recidivo sarebbe un’onore per tutti». Nel gioco dei sillogismi, ideato a Parigi nel 1953, il primo giocatore scrive una frase che inizia per tutti, il secondo un’altra premessa che inizia con però e il terzo conclude con una frasi che inizia per quindi: «tutti gli dei arrossiscono nell’erba alta però la libellula vede tutto nero quindi il crepuscolo è una frittella che arretra».

«Il Surrealismo è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio dove si voleva prendere una camicia”»

Frida Kahlo, 1939

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