LA PAROLA

Calannàriu

Approfondire le origini e il significato della parola calannàriu (calendario) non è facile. Bisogna risalire… a ddi tempi (a quei tempi), quando gli uomini iniziarono a ipotizzare la divisione del tempo per pianificare l’esistenza. La sua evoluzione è basata sulla rivoluzione della terra intorno al sole: gli equinozi, i solstizi, l’alternarsi delle stagioni e le fasi lunari. Dopo varie riforme di imperatori e papi, venne approvato il calannàriu civile, tuttora in uso, che ha la durata di un anno, diviso in dodici mesi, da cui la filastrocca memorizzata da bambini: «Trenta giorni ha Novembre, / con April Giugno e Settembre;/ di ventotto ce n’è uno, / tutti gli altri ne han trentuno», per complessivi 365 giorni più 1 nel bisestile.

A mano a mano che il fuso orario si sposta sul planisfero terreste, tra riti e superstizioni ancestrali celebrati dagli uomini, la mezzanotte del 31 dicembre archivia l’anno vecchio. Dalle grandi metropoli, le tv trasmettono in mondovisione i tradizionali fuochi d’artificio e inquadrano in primo piano folle di spettatori in delirio. Come sempre, negli abbracci augurali per l’anno nuovo, contagiati dall’universale esaltazione, fin dal primo secondo del mese di gennaio, propiziamo umani desideri che fluttuano effervescenti nelle coppe di spumante e, senza rendercene conto, svaniscono nel fumo acre degli spari.

Una cosa è certa, malgrado il computer, il cellulare e l’orologio datato, in questi giorni è scattato l’accaparramento del calannàriu 2019 rigorosamente cartaceo. Una consuetudine appenderlo in casa, in garage, negli uffici e anche nelle cabine dei TIR. Le tipografie ne stampano centinaia di esemplari in varie misure e formati: dal tipo olandese, con i numeri grandi e le righe per gli appunti, a quelli illustrati a tema per gli artigiani e i commercianti, dai sacri, delle “Edizioni Paoline” e Frate Indovino, ai profani, de Le conigliette di Plyboy e, per par condicio, gli Hot shirtless men. Abbondano i calannàri omaggiati dalle banche, da alcune testate giornalistiche e da tutte, ma proprio tutte, le forze dell’ordine, che sono diventati un cult come quello della Pirelli. Immancabili, in veste di almanacchi tascabili, consultati da sempre dagli agricoltori: il Barbanera e il Sesto Cajo Baccelli.

Un grande successo lo hanno avuto nel secolo scorso i calannarièddi du barbèri (i calendarietti del barbiere). Il mini calannàriu entrava nel portafogli e i clienti lo ricevevano in regalo per le festività natalizie. Un elegante cordoncino col fiocchettino di seta legava i foglietti, inseriti in una bustina trasparente dall’inebriante profumo. Tra un mese e l’altro, immagini varie riassumevano le storie mitologiche, le opere liriche, gli sport, il cinema con le foto degli attori, per arrivare a quelle provocanti degli anni Sessanta e Settanta con le soubrette in bikini, in tanga e subito dopo completamente nude, a turbare sempre di più il sonno degli adolescenti che riuscivano a guardarle di nascosto.

Porgendolo al cliente di turno dicendogli: «Vossignurìa evi sirvùtu!» («Vostra signoria è servito!»). Poi il barbiere si rivolgeva ai numerosi apprendisti: «Forza carùsi sbigghiàmmini! A spàzzula a l’avvucàtu!» («Forza ragazzi svegliamoci! La spazzola all’avvocato!» Il più solerte, spazzolava giacca e pantaloni e se riceveva la mancia, a ‘nficcàva ‘nto catùsu di crita (l’infilava nel salvadanaio di terracotta), per dividerla a Natale con gli altri.

Nelle sale da barba, punto di ritrovo tra compaesani, non si badava alla privacy. Andato via l’interessato, il principale, sornione, quasi a provocare il pettegolezzo, chiedeva ad alta voce: «‘Ndria, ppi curiusità, quantu ti desi l’avvucatu?» («Andrea, per curiosità, quanto ti ha dato l’avvocato?») Alla risposta «Trenta liri!», immediati i commenti: «A facci d’iddu! Com’evi ca no s’affrùnta!» («Alla faccia sua! Com’è che non si vergogna!») «Raggiuni c’ai ‘mpàri Turi! Chiddu ci n’avi surdùni! Ma a cu ci l’a lassàri! Non si maritàu, ristàu schettu e campa di lammìchi!» («Hai ragione compare Salvatore! Quello ce ne ha soldoni! Ma a chi glieli deve lasciare! Non si è sposato, è rimasto scapolo e vive di privazioni!»). Il barbiere seguitava: «E chi v’aia diri, no nni parrammu chiù, ma quannu unu evi minnìcu, evi minnìcu. Salutàmmini e Bon Annu ppi tutti, macàri ‘nfamìgghia» («E cosa vi devo dire, non parliamone più, ma quando uno è spilorcio, è spilorcio. Salutiamoci e Buon Anno per tutti, anche in famiglia»).

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