CRITICA

Cantos: pensieri sulla poesia e omaggio a Roversi

Amo Walt Whitman e le sue foglie d’erba. Amo Omero e l’Ulisse di Tonino Guerra. Amo i Cantos di Ezra Pound. L’Omero di Derek Walcott. Il dolore di Mariangela Gualtieri. Ma amo sopra ogni cosa, l’indignazione civile di Roberto Roversi, la sua modesta, illuminante lezione. È il riferimento dei pensieri lunghi che non troppo spesso mi trovo a fare guardandomi attorno, vicino, dentro. Un po’ come succedeva con la poesia carsica di Pasolini: il togliere. Per vedere la nuda carne, i suoni e gli odori del mondo.

Chissà per quale motivo la poesia è così incistata nella memoria e nell’identità. Forse perché prima di tutto è orale e connaturata. Non è speculazione filosofica, ma filosofia, non è invettiva, ma prospettiva, ordine ed anima.

Mi culla come un’antica sedia a dondolo o una modica quantità di vino profumato d’Alsazia. Ora mi dondolo un po’ …

ROBERTO ROVERSI

da L’Italia sepolta sotto la neve

La miseria della misera Italia numero
dodici
la testa in fiamme la sterpaglia
della festa dei pensieri paglia che
avvampa brucia fra braci di fumo.
Si consumano notizie mescolate al ricordo
di vecchie età
l’armamentario sul carro della vita
in corsa
è spazio di fresca primavera.
Altrove polvere sollevata dall’auto nella
strada di campagna
odora di mele mentre il merlo s’allontana
stride forte a filo dell’erba lungo il mare
siepi siepi siepi di oleandri abbandonati e
pini scavezzati dai venti secolari
camminano a terra.
Può la morte ordire il suo acuminato
massacro
ridurre in cenere il delfino
il vascello in fuoco
la sovrastante nuvola in ciclone e
travolgere la vita?
Il fervore trascinato in gorgo
l’esistente in un attimo è scomparso
giovinezza è il ricordo poi sull’occhio
chiuso
del cielo interminabile di tetti
e alla fine dimenticare la tomba
dei vecchi eroi?
Quante primavere gli uomini fuggitivi
abbandonano alle giovani ali che
arrivano portate dal garbino?
Si può considerare l’opportunità
di non rassegnarsi
bruciare il carro del vincitore
anche le nostre bandiere.
Per favore.
Non fa venir voglia di essere poeti? O, quanto meno, di dondolarsi?

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